venerdì 25 luglio 2014

M.S.I. ed eversione nera. Si apre la stagione del revisionismo storiografico (di Giovanni Sessa)

L’esercizio dell’autoanalisi, sia personale che comunitaria, è uno strumento utile, purché sia finalizzata a propiziare la fuoriuscita da un periodo di crisi o di disagio. La “destra” italiana (o ciò che ne resta, o che sorgerà dalle sue ceneri), allo stato dei fatti, ne avrebbe davvero bisogno. Uno   stimolo a che ciò avvenga, può essere rintracciato nella recente pubblicazione, per i tipi di Solfanelli, di un volume scritto a due mani da Ivan Buttignon e Mattia Zenoni. Si tratta di M.S.I. e terrorismo nero tra verità e montature (per ordini: edizionisolfanelli@yahoo.it 335-6499393, euro 14,00). Il testo è una ricerca sulla storia del M.S.I., dalla nascita al suo dissolversi in AN, affrontata secondo diverse sfaccettature: ideologica, correntizia, e financo attenta ai dati caratteriali ed emotivi dei suoi protagonisti.
    Gli autori utilizzano tanto la lettura obiettiva dei documenti (tra essi vanno menzionate le interviste inedite di personaggi quali Stefano delle Chiaie e dei fondatori di Democrazia Nazionale on. Renzo de’Vidovich e Giovanni Guarini), così come la conoscenza in qualche modo diretta dell’ambiente delle destra italiana, visto che Buttignon collabora con riviste d’area e Zenoni, nonostante la giovane età, è stato consigliere comunale della Lega in un comune del Nord. La ricerca storiografica, in queste pagine, non è mai soffocata dal primato del dato obiettivo, ma animata e sostenuta da un rapporto empatico con l’oggetto indagato. Il che, dal nostro punto di vista non è un limite, ma un pregio del volume. Tale atteggiamento esegetico è indotto dall’urgenza che gli autori avvertano e trasmettono al lettore accorto, di dover fornire risposte ai quesiti ancora aperti in merito agli “anni di piombo” e al ruolo giocato in essi dalla destra partitica. Fare chiarezza su personaggi del M.S.I., nell’ambito ora ricordato, può infatti rivelarsi utile a compiere oggi scelte accorte e politicamente proficue, in una situazione altrettanto drammatica ma certamente altra rispetto a quella di allora.
    Per conseguire l’obiettivo, gli autori, nelle due parti che costituiscono il libro, Analisi delle origini e delle tre “macrocomponenti” e Le altre correnti missine, ripercorrono gli albori della storia del Movimento Sociale, rilevandone un’anima contraddittoria ed ambigua. Infatti, mentre la componente della sinistra nazionale, in certi momenti interna, in altri esterna al partito, rivendicava il lascito socializzatore e repubblichino del fascismo, e con esso la sua vocazione rivoluzionaria, la destra interna, nelle sue diverse opzioni, teorizzava e praticava l’inserimento parlamentare. Con Michelini alla Segreteria nazionale, tale tendenza avrebbe agito per il costituirsi in Italia di una “Grande Destra” conservatrice, capace di condizionare in senso nazionale la DC. In tale contesto, viene rilevato il camaleontismo almirantiano il quale, di volta in volta, nelle tornate congressuali, si presentava come leader della corrente di sinistra per poi stringere accordi “centristi” con la componente moderata.
    In quest’ottica, la riconquista della Segreteria da parte di Almirante sul finire degli anni Sessanta,  portò a rilanciare il progetto della “Destra Nazionale”, fondandolo, da un lato, sul ritorno nel M.S.I. di una parte degli eretici “spiritualisti” di Ordine Nuovo, la componente che faceva capo a Pino Rauti, e dall’altro stringendo un’alleanza politico-elettorale con i monarchici. La nuova situazione non mutò l’atteggiamento generale, tenuto dai vertici del partito fin dal 1946, nei confronti dell’estremismo: da un lato di fronte ad atti violenti e/o episodi terroristici, prendere le distanze da essi (esemplare, in questo senso, è il caso della morte dell’agente Marino nel “giovedì nero” di Milano), per  poi continuare a coltivare la cultura anti-sistema nel mondo giovanile. Il che rappresenta, agli occhi dei due studiosi, una pericolosa contraddizione mai risolta.
     In apposito paragrafo si affronta l’analisi della corrente spiritualista che si richiamava al pensiero di Evola, dalla vulgata giornalistica anni Settanta, ritenuto ispiratore del terrorismo nero. In queste pagine si ricorda l’assoluzione piena del pensatore da una accusa del genere, nei primi anni Cinquanta, dopo gli attentati dei FAR, che gli costò il carcere per sei mesi. Chi si sia davvero confrontato con le opere di Evola, ben sa che in esse non vi è il benché minimo invito alla violenza. Come ha esemplarmente mostrato G. de Turris nel suo Elogio e difesa di J. Evola (Mediterranee,1998) se qualcuno ha pensato di agire attraverso la violenza in nome della dottrina evoliana, è stato evidentemente un pessimo discepolo. Ad Evola non possono attribuirsi responsabilità di sorta in tema di terrorismo.
   Quali, quindi, le conclusioni in merito ai rapporti tra terrorismo e M.S.I.? Gli autori sostengono che gli scontri di piazza cui, per decenni, parteciparono anche i giovani del partito, per difendere la loro presenza politica e, a volte, la loro sopravvivenza fisica (aggiungo io), fecero ritenere a qualcuno che lo Stato fosse debole e potesse essere colpito: “…con la complicità di qualche camerata del M.S.I.” (p. 182). Le risultanze processuali relative alla strage di Peteano, si dice nell’ultimo capitolo, misero in luce che i coinvolti nella vicenda erano organici al Movimento Sociale e che lo stesso Almirante avrebbe inviato in Spagna all’autore della strage circa 35.000 dollari statunitensi per far operare Cicuttini (il telefonista del gruppo) alle corde vocali ed eludere, così, la sua identificazione. Buttignon precisa: “…faccio fatica a immaginare uno scenario del genere” (p. 179), e noi condividiamo il suo scetticismo. Non viene sottaciuto neppure il coinvolgimento di Rauti nella strage di Piazza Fontana e in altri episodi terroristici del periodo, accuse dalle quali, come si sa, in seguito fu prosciolto. 

   Oggi è possibile trarre un bilancio storico-politico della “strategia della tensione” e degli “anni di piombo”. Gli unici sconfitti, oltre naturalmente alle moltissime vittime innocenti, furono coloro che ritenevano di combattere il sistema, da destra o da sinistra. I vincitori furono i “poteri forti”, i loro rappresentanti, che di quei drammi si servirono per consolidare, sul sangue di molti, la loro egemonia. E’ bene, quindi, come fa il libro presentato, indagare anche in casa propria, individuare eventuali responsabilità, per poter tornare ad agire politicamente, ma a condizione che si tenga conto del clima in cui si trovò a vivere chi militava a “destra”e dei molti che finirono ingiustamente in carcere per le montature giudiziarie ordite contro di loro, e tardivamente assolti da accuse infamanti.

Giovanni Sessa

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