Nella ricorrenza del settantesimo
anniversario dell’assassinio di Giovanni Gentile, si è finalmente tornati a
parlare del pensiero e della vita del filosofo di Castelvetrano. Saggi,
articoli e diversi libri hanno riaperto il dibattito su questa eminente figura
di filosofo, di politico, di pedagogista e di organizzatore culturale. Tra i
tanti, ci preme qui segnalare e discutere il contributo fornito all’esegesi
dell’attualismo da Primo Siena. Si tratta del volume, Giovanni Gentile. Un italiano nelle intemperie, nelle librerie per
l’editore Solfanelli (per ordini: edizionisolfanelli@yahoo.it 335/6499393; euro 14,00). Il testo è
strutturato in modo complesso e organico. Infatti, il saggio introduttivo
dell’autore consta di tre momenti, nei quali vengono presentati i più salienti tratti
della biografia e della filosofia gentiliana, non escluso il rilevante
contributo pedagogico del pensatore e
l’analisi dei principali interventi critici finora prodotti attorno alla sua
opera. Segue un’ampia raccolta antologica di testi gentiliani, davvero
meritevole di segnalazione, non soltanto per le accorte scelte messe in atto
nella selezione, capaci di dare un quadro complessivo dell’attualismo, in
particolare della sua teoria politica, ma perché ci pare sempre più urgente
stimolare l’ambiente intellettuale della “destra” italiana al confronto con la
filosofia, rispetto alla quale, e non solo nell’ultimo periodo, registriamo un’
improvvida idiosincrasia. L’Appendice, infine, raccoglie tre saggi: il primo di
Leonardo Castellani, gesuita argentino, che si intitola Giovanni Gentile filosofo del fascismo; il secondodi uno studioso
di origini romene, ma spagnolo d’adozione, allievo del filosofo alla “Sapienza”
di Roma, George Uscatescu, affronta il tema Giovanni
Gentile ed Ernst Jünger e i nessi teorici che legherebbero la figura dell’Operaio alle tematiche dell’umanesimo
del lavoro; il terzo è il testo della relazione che Armando Carlini tenne in un
Convegno del 1955 a
Pisa, intitolata Il pensiero politico di
Giovanni Gentile.
Questa la struttura del volume di
Siena. Quale, invece, la sua lettura dei dati biografici e della filosofia
attualista? E’ presto detto: l’autore mira innanzitutto a valorizzare il
sacrificio di Gentile, il Gentile uomo e politico, a presentare l’estrema
coerenza di un magistero testimoniato nella vita vissuta: “Un magistero che
concepisce la vita come incessante combattimento per coloro che…sanno sfidare
le intemperie” (p. 74). La morte, per
mano di gappisti fiorentini, colse il filosofo il 15 Aprile del 1944, nei
pressi del cancello di Villa Montalto, dopo che, in conseguenza della
prolusione che egli aveva tenuto il 19 marzo in occasione della celebrazione
del bicentenario vichiano a Firenze, Radio Londra aveva sollecitato il
sollevarsi della “santa rabbia” nei suoi confronti, nei confronti di colui che
veniva definito un ex-filosofo. In quei tragici mesi, Gentile era impegnato
nella revisione del proprio testamento spirituale, Genesi e struttura della società e aveva già pronunciato, il 24
giugno 1943, il discorso in Campidoglio, con il quale aveva chiesto agli
italiani, in un momento drammatico, di non perdersi nel particulare, ma di rinvenire, ancora una volta, nell’azione spesa
per la Patria
e il bene comune, il senso più profondo dell’universale.
Ci
sia consentita una breve chiosa: in questa doverosa apologia del sacrificio del
pensatore di Castelvetrano, ci pare che Siena tributi gli “onori delle armi”,
oltre che al filosofo, a se stesso e a quanti della sua generazione seppero,
non soltanto alla fine della seconda guerra mondiale, ma in tutto il dopoguerra,
“tenersi in piedi”, proprio come Gentile. Il che ci pare non solo legittimo, ma
assolutamente doveroso e necessario. Chi scrive appartiene ad un’altra
generazione, ma a Siena e ai “Suoi” deve davvero molto in termini di
testimonianza ideale e spirituale.
L’esegesi della filosofia
politica di Gentile muove dalla constatazione che essa si fonda sulla
comprensione che lo Stato: “…non si manifesta inter homines, ma in
interiore homine” (p. 17), e quindi la formulazione dello Stato come
volontà universale contraddice l’idea illuminista dello Stato quale risultato del
“contratto sociale”. Società e Stato sono volere in atto, volontà morale, per
cui la creazione dello Stato, del Politico, l’individuo deve possederlo in sé
ed esserne cosciente. L’accusa di statolatria mossa alla dottrina gentiliana è
infondata. Infatti, lo scrittore italo-cileno avverte: “…che se questo Stato
sembra assorbire l’individuo, e se in esso l’autorità sembra risucchiare la
libertà…si può rovesciare la questione e sostenere che l’autorità sia assorbita
nella libertà e sia lo stesso individuo ad inghiottire lo Stato” (p. 19) Siena,
inoltre, prende le distanze dalla sinistra attualista di Spirito, in quanto
sostiene che la definizione di Gentile dei comunisti come “corporativisti impazienti”,
non implicava alcun apertura al marxismo. Anzi! La dottrina corporativa aveva
assunto in sé quelle problematiche che il comunismo si era mostrato incapace di
risolvere. Inoltre, ciò che distingue in modo chiaro la posizione di Gentile
dal marxismo, secondo l’autore, è da individuarsi nel fatto che Marx considera
l’uomo: “…sul piano meramente temporale evitando di collocarlo in una
prospettiva metafisica” (p. 21). Ed è questa medesima considerazione etica
dell’agire umano, mutuata da Mazzini e dal Risorgimento, che induce Gentile a
marcare ulteriormente la distanza dal marxismo e a fare della “rivoluzione” fascista
l’alternativa del comunismo e del liberal-capitalismo. La propensione
etico-spirituale dell’attualismo, indurrà Gentile ad elaborare l’umanesimo del
lavoro e a sviluppare una pedagogia attenta ai bisogni del discente.
Con l’umanesimo del lavoro il filosofo
concesse all’attività umana, compresa quella manuale e non creativa, di essere
connotata dalla medesima dignità fino ad allora attribuita alla prassi
intellettuale: ogni uomo acquisisce, alla luce di tale concezione, la
specificità dell’artifex. Sul piano
pedagogico, l’attualismo sostenne l’educazione essere arte e non racchiuse
l’età evolutiva ad una sola stagione dell’esistenza umana. Essa coincide: “…con
l’intera esistenza dell’uomo: s’impara vivendo, cioè pensando” (p. 39). Il
maestro insegnando si educa, in quanto docente e discente sono momenti di un
unico processo. Ciò condusse Gentile a credere fermamente nel rispetto pedagogico
dell’innocenza dell’allievo. Anche in questo ambito, la Sua scuola dell’esempio e
della serietà, potrebbe oggi svolgere il ruolo, ricorda Siena, di vero e
proprio paradigma per una istituzione che ha ormai fatto della permissività
indiscriminata il suo solo punto di riferimento.
Per le ragioni suddette, l’autore ritiene
che la filosofia di Gentile, in particolare nei suoi esiti e nonostante le
premesse immanentiste e moniste, abbia in sé un Itinerarium mentis in Deum. Per tale ragione, la chiave di volta
della lettura di Siena è rintracciabile nello scritto di Carlini contenuto in
Appendice, o più in generale, nella esegesi condotta in argomento da Sciacca.
Insomma: “L’itinerario dall’uomo a Dio, nella ricerca gentiliana, viene…profondamente
confermato: dal particolare all’universale e dall’universale all’Ente Divino”
(p. 30). Nel pensatore di Castelvetrano è, infatti, presente, secondo
l’interpretazione di Sciacca che Siena pare condividere, un anelito verso la
trascendenza, una sorta di “felice contraddizione” che, alla lunga, avrebbe indotto
tale filosofia al superamento dell’immanentismo connotante l’intero percorso dell’idealismo
moderno.
E’storicamente vero che alcuni allievi di
Gentile hanno tentato di vincolare il puro
divenire attuale ad una prospettiva ferma e rigida, negante la radicale
immanenza attualista, riammettendo per questa via la fede in Dio. Tra essi
vanno ricordati, in prospettive teoretiche diverse, Guzzo, Carlini, Sciacca e
lo stesso Bontadini, ancor più ardito degli altri, che si provò a ri-pensare
l’Assoluto come Summum Ens. A differenza di Siena crediamo che questi
tentativi furono, però, una regressio
rispetto alle posizioni del maestro. Se un merito filosofico va attribuito a
Gentile è quello di aver definitivamente liberato l’idealismo da ogni residuo
di idea di fondamento e da ogni supina accettazione della concezione del
soggetto, propria della filosofia moderna. Ora non si tratta, dal crinale
speculativo conquistato da Gentile, di“tornare indietro”, di abbandonare la
posizione, ma di guardare in direzione di nuove prospettive capaci di indurre
il superamento della dimensione meramente gnoseologica dell’attualismo. Allo
scopo sarebbe necessario, a nostro parere, porsi all’ascolto delle due più
originali e potenti vie transattualiste
proposte agli uomini del secolo scorso, ma attualissime, quelle di Julius Evola
e di Andrea Emo.
Nonostante questa differenza interpretativa, riteniamo il contributo di
Siena estremamente stimolante. Il momento attuale richiede il serio contributo
teorico-politico delle diverse anime intellettuali che si battono contro il
dominio indiscriminato del pensiero Unico e dell’Utile. Siena, in modo
coerente, rigoroso ed organico, oramai da una vita, sta contribuendo a far si
che questa battaglia sia almeno combattuta. In un momento di disarmo
generalizzato, per un’intera area intellettuale, ciò non è poco. Anche con
questo libro che vivamente consigliamo ai lettori, tornando a farci discutere di Gentile, egli ci
invita a dialogare in vista di Altre Sintesi.
Giovanni Sessa