venerdì 9 novembre 2012

Un capitolo di SOCIALISMO, CALCOLO ECONOMICO E IMPRENDITORIALITÀ di Huerta de Soto su IL GIORNALE del 9/11/2012

HUERTA DE SOTO La risposta liberale ai tentativi sbagliati di uscire dalla crisi

Ecco perché i neosocialisti sbagliano

Cercano di conciliare vecchie utopie di mercato. Ma questa ricetta porta al fallimento economico

Dopo Miss ed Enaudi, ecco uno scritto di Jesus Huerta de Soto, tratto, per gentile concessione dell'editore Solfanelli, dal volume Socialismo, calcolo economico e imprenditorialità. In questo volume, pubblicato per la prima volta nel 1992 e poi costantemente rivisto e aggiornato, l'economista spagnolo erede della Scuola austriaca mette in luce come la pianificazione economica, tipica del socialismo, sia sempre destinata al fallimento economico. Negli ultimi capitoli, l'analisi si spinge oltre, e porta al rifiuto di ogni commistione tra socialismo e mercato. Una formula oggi molto in auge, specie in Italia.



[...] ci sono solo due alternative: o esiste una completa libertà per l’esercizio della funzione imprenditoriale (in un contesto di riconoscimento e difesa della proprietà privata dei mezzi di produzione, e senza altre limitazioni oltre al minimo di norme tradizionali del diritto privato e penale necessarie ad evitare l’aggressione asistematica all’azione umana e l’inadempienza dei contratti); oppure si esercita pressione in modo sistematico e generalizzato sulla funzione imprenditoriale in aree più o meno estese del mercato e della società, e, in concreto, si impedisce la proprietà privata dei mezzi di produzione. In questo caso, non è possibile esercitare liberamente la funzione imprenditoriale nelle aree sociali interessate, e specialmente in quella dei mezzi di produzione, con l’inesorabile conseguenza dell’impossibilità, in tutte queste aree, del calcolo economico razionale che abbiamo già spiegato dettagliatamente nella nostra analisi.
Come abbiamo dimostrato, il secondo sistema rende impossibile il coordinamento sociale e il calcolo economico, che si possono portare a termine solo in un regime di completa libertà per l’esercizio dell’azione umana. Quello che i “socialisti di mercato” hanno cercato di fare è elaborare una fantomatica “sintesi teorica” in cui, stabilendosi un sistema socialista (caratterizzato dalla sistematica coazione contro l’azione umana e per la proprietà pubblica dei mezzi di produzione), si mantenga comunque l’esistenza di un “mercato”. Per ragioni ideologiche, romantiche, etiche o politiche, si rifiutano in modo ostinato e cocciuto di abbandonare il socialismo, e, molto colpiti dalle critiche di Mises e Hayek, cercano di reintrodurre il mercato nei loro schemi, con la vana speranza di ottenere “il meglio di entrambi i mondi”, così come di rendere il loro ideale più popolare e attraente.
Ma ciò che i socialisti non vogliono capire è che è sufficiente restringere violentemente la libera azione umana in qualsiasi area sociale, e specialmente in quella legata ai fattori o mezzi di produzione, perché il mercato, che è l’istituzione sociale per eccellenza, smetta di funzionare in maniera coordinatrice e di generare l’informazione pratica indispensabile per rendere possibile il calcolo economico.
Quello che i “socialisti di mercato” non capiscono, insomma, è che non si può esercitare impunemente la violenza sistematica contro l’essenza più profonda dell’essere umano: la sua capacità di agire liberamente in qualsiasi circostanza concreta di tempo e di luogo.
O, per lo meno, i “socialisti di mercato” non lo hanno capito fino ad ora. Perché recentemente Brus e Laski (che si sono autodefiniti “ex riformatori ingenui”, antichi sostenitori per molti anni del “socialismo di mercato”), seguendo Temkin, hanno finito per fare loro le seguenti parole di Mises; «Ciò che questi neosocialisti suggeriscono è realmente paradossale. Essi vogliono abolire il controllo privato dei mezzi di produzione, lo scambio di mercato, i prezzi di mercato e la concorrenza. Ma al tempo stesso vogliono organizzare l’utopia socialista in modo che la gente possa agire come se queste cose fossero ancora presenti. Vogliono che la gente giochi al mercato come i bambini giocano alla guerra, alla ferrovia o alla scuola. Non comprendono come tale gioco infantile differisca dalla cosa reale che cercano di imitare [...] Un sistema socialista con mercato e prezzi di mercato è altrettanto contraddittorio della nozione di un quadrato triangolare.»
O come, seguendo Mises, molto recentemente e in modo più netto, ha concluso Anthony de Jasay, per il quale parlare di “socialismo di mercato” è altrettanto contraddittorio che riferirsi «alla neve calda, a una prostituta vergine, a uno scheletro obeso, o a un quadrato circolare».
Si può capire che questa ossessione per ottenere la “quadratura del cerchio” che implica tutto il “socialismo di mercato” sia stata oggetto di interesse e di sforzo a livello scientifico solo se si considerano le tre argomentazioni seguenti: in primo luogo, la forte motivazione politico-ideologica, che poco fa abbiamo definito addirittura ostinata e cocciuta, a non abbandonare l’ideale socialista, per ragioni passionali, romantiche, etiche o politiche; in secondo luogo, l’utilizzazione del modello neoclassico dell’equilibrio, che solo in modo molto limitato, povero e confuso descrive il funzionamento reale del mercato capitalista, e nel quale, poiché si suppone che l’informazione necessaria sia disponibile, si suggerisce che un sistema socialista potrebbe funzionare con le stesse premesse teoriche del modello statico; e, in terzo luogo, l’espressa rinuncia e addirittura la condanna ad analizzare teoricamente il funzionamento reale dell’azione umana in ambiti nei quali non esista la proprietà privata dei mezzi di produzione, con il pretesto che le considerazioni sugli incentivi e sulle motivazioni sono “estranee” al campo della “teoria” economica.
Alcuni autori socialisti propongono, tutt’al più, l’introduzione di “bonus” o “incentivi” che simulino goffamente i benefici imprenditoriali del mercato, senza arrivare a capire (e se questo succede agli stessi economisti che cosa potrà succedere a coloro che non sono esperti nella materia?) perché nel socialismo i gestori non dovrebbero agire come fanno gli imprenditori in un’economia di mercato, se si dà loro genericamente l’istruzione di farlo così, o di “agire in modo coordinato”, o in “funzione del bene comune”, ecc. Questi teorici non capiscono che le direttive generali, pur con tutte le buone intenzioni, non servono a niente al momento di prendere decisioni concrete riguardo ai problemi specifici che si presentano in determinate circostanze di tempo e di luogo. Se noi umani ci dedicassimo ad agire solamente secondo l’istruzione coercitiva, tanto “opportuna” quanto vuota di contenuto, di “fomentare il bene comune”, o di “coordinare i processi sociali” o, addirittura, di “amare il prossimo”, finiremmo per forza per agire in modo scoordinato, contro il bene comune e danneggiando gravemente chi ci sta vicino e chi ci sta lontano, divenendo impossibile l’apprezzamento, in ogni circostanza concreta e in modo creativo, delle diverse opportunità di beneficio esistenti, così come della loro valutazione e del loro confronto con i costi soggettivi potenziali.


Jesús Huerta de Soto
SOCIALISMO, CALCOLO ECONOMICO E IMPRENDITORIALITÀ
Presentazione di Carmelo Ferlito
Edizioni Solfanelli
[ISBN-978-88-7497-757-4]
Pagg. 440 - € 28,00