venerdì 9 novembre 2012

Un capitolo di SOCIALISMO, CALCOLO ECONOMICO E IMPRENDITORIALITÀ di Huerta de Soto su IL GIORNALE del 9/11/2012

HUERTA DE SOTO La risposta liberale ai tentativi sbagliati di uscire dalla crisi

Ecco perché i neosocialisti sbagliano

Cercano di conciliare vecchie utopie di mercato. Ma questa ricetta porta al fallimento economico

Dopo Miss ed Enaudi, ecco uno scritto di Jesus Huerta de Soto, tratto, per gentile concessione dell'editore Solfanelli, dal volume Socialismo, calcolo economico e imprenditorialità. In questo volume, pubblicato per la prima volta nel 1992 e poi costantemente rivisto e aggiornato, l'economista spagnolo erede della Scuola austriaca mette in luce come la pianificazione economica, tipica del socialismo, sia sempre destinata al fallimento economico. Negli ultimi capitoli, l'analisi si spinge oltre, e porta al rifiuto di ogni commistione tra socialismo e mercato. Una formula oggi molto in auge, specie in Italia.



[...] ci sono solo due alternative: o esiste una completa libertà per l’esercizio della funzione imprenditoriale (in un contesto di riconoscimento e difesa della proprietà privata dei mezzi di produzione, e senza altre limitazioni oltre al minimo di norme tradizionali del diritto privato e penale necessarie ad evitare l’aggressione asistematica all’azione umana e l’inadempienza dei contratti); oppure si esercita pressione in modo sistematico e generalizzato sulla funzione imprenditoriale in aree più o meno estese del mercato e della società, e, in concreto, si impedisce la proprietà privata dei mezzi di produzione. In questo caso, non è possibile esercitare liberamente la funzione imprenditoriale nelle aree sociali interessate, e specialmente in quella dei mezzi di produzione, con l’inesorabile conseguenza dell’impossibilità, in tutte queste aree, del calcolo economico razionale che abbiamo già spiegato dettagliatamente nella nostra analisi.
Come abbiamo dimostrato, il secondo sistema rende impossibile il coordinamento sociale e il calcolo economico, che si possono portare a termine solo in un regime di completa libertà per l’esercizio dell’azione umana. Quello che i “socialisti di mercato” hanno cercato di fare è elaborare una fantomatica “sintesi teorica” in cui, stabilendosi un sistema socialista (caratterizzato dalla sistematica coazione contro l’azione umana e per la proprietà pubblica dei mezzi di produzione), si mantenga comunque l’esistenza di un “mercato”. Per ragioni ideologiche, romantiche, etiche o politiche, si rifiutano in modo ostinato e cocciuto di abbandonare il socialismo, e, molto colpiti dalle critiche di Mises e Hayek, cercano di reintrodurre il mercato nei loro schemi, con la vana speranza di ottenere “il meglio di entrambi i mondi”, così come di rendere il loro ideale più popolare e attraente.
Ma ciò che i socialisti non vogliono capire è che è sufficiente restringere violentemente la libera azione umana in qualsiasi area sociale, e specialmente in quella legata ai fattori o mezzi di produzione, perché il mercato, che è l’istituzione sociale per eccellenza, smetta di funzionare in maniera coordinatrice e di generare l’informazione pratica indispensabile per rendere possibile il calcolo economico.
Quello che i “socialisti di mercato” non capiscono, insomma, è che non si può esercitare impunemente la violenza sistematica contro l’essenza più profonda dell’essere umano: la sua capacità di agire liberamente in qualsiasi circostanza concreta di tempo e di luogo.
O, per lo meno, i “socialisti di mercato” non lo hanno capito fino ad ora. Perché recentemente Brus e Laski (che si sono autodefiniti “ex riformatori ingenui”, antichi sostenitori per molti anni del “socialismo di mercato”), seguendo Temkin, hanno finito per fare loro le seguenti parole di Mises; «Ciò che questi neosocialisti suggeriscono è realmente paradossale. Essi vogliono abolire il controllo privato dei mezzi di produzione, lo scambio di mercato, i prezzi di mercato e la concorrenza. Ma al tempo stesso vogliono organizzare l’utopia socialista in modo che la gente possa agire come se queste cose fossero ancora presenti. Vogliono che la gente giochi al mercato come i bambini giocano alla guerra, alla ferrovia o alla scuola. Non comprendono come tale gioco infantile differisca dalla cosa reale che cercano di imitare [...] Un sistema socialista con mercato e prezzi di mercato è altrettanto contraddittorio della nozione di un quadrato triangolare.»
O come, seguendo Mises, molto recentemente e in modo più netto, ha concluso Anthony de Jasay, per il quale parlare di “socialismo di mercato” è altrettanto contraddittorio che riferirsi «alla neve calda, a una prostituta vergine, a uno scheletro obeso, o a un quadrato circolare».
Si può capire che questa ossessione per ottenere la “quadratura del cerchio” che implica tutto il “socialismo di mercato” sia stata oggetto di interesse e di sforzo a livello scientifico solo se si considerano le tre argomentazioni seguenti: in primo luogo, la forte motivazione politico-ideologica, che poco fa abbiamo definito addirittura ostinata e cocciuta, a non abbandonare l’ideale socialista, per ragioni passionali, romantiche, etiche o politiche; in secondo luogo, l’utilizzazione del modello neoclassico dell’equilibrio, che solo in modo molto limitato, povero e confuso descrive il funzionamento reale del mercato capitalista, e nel quale, poiché si suppone che l’informazione necessaria sia disponibile, si suggerisce che un sistema socialista potrebbe funzionare con le stesse premesse teoriche del modello statico; e, in terzo luogo, l’espressa rinuncia e addirittura la condanna ad analizzare teoricamente il funzionamento reale dell’azione umana in ambiti nei quali non esista la proprietà privata dei mezzi di produzione, con il pretesto che le considerazioni sugli incentivi e sulle motivazioni sono “estranee” al campo della “teoria” economica.
Alcuni autori socialisti propongono, tutt’al più, l’introduzione di “bonus” o “incentivi” che simulino goffamente i benefici imprenditoriali del mercato, senza arrivare a capire (e se questo succede agli stessi economisti che cosa potrà succedere a coloro che non sono esperti nella materia?) perché nel socialismo i gestori non dovrebbero agire come fanno gli imprenditori in un’economia di mercato, se si dà loro genericamente l’istruzione di farlo così, o di “agire in modo coordinato”, o in “funzione del bene comune”, ecc. Questi teorici non capiscono che le direttive generali, pur con tutte le buone intenzioni, non servono a niente al momento di prendere decisioni concrete riguardo ai problemi specifici che si presentano in determinate circostanze di tempo e di luogo. Se noi umani ci dedicassimo ad agire solamente secondo l’istruzione coercitiva, tanto “opportuna” quanto vuota di contenuto, di “fomentare il bene comune”, o di “coordinare i processi sociali” o, addirittura, di “amare il prossimo”, finiremmo per forza per agire in modo scoordinato, contro il bene comune e danneggiando gravemente chi ci sta vicino e chi ci sta lontano, divenendo impossibile l’apprezzamento, in ogni circostanza concreta e in modo creativo, delle diverse opportunità di beneficio esistenti, così come della loro valutazione e del loro confronto con i costi soggettivi potenziali.


Jesús Huerta de Soto
SOCIALISMO, CALCOLO ECONOMICO E IMPRENDITORIALITÀ
Presentazione di Carmelo Ferlito
Edizioni Solfanelli
[ISBN-978-88-7497-757-4]
Pagg. 440 - € 28,00



lunedì 16 luglio 2012

LE ORIGINI ESOTERICHE DEL MODERNISMO (recensione di Valentino Cecchetti)


Adele Cerreta, Le origini esoteriche del Modernismo. Padre Gioachino Ambrosini e la teologia modernista, Presentazione di Roberto de Mattei. Introduzione di Gianandrea de Antonellis, Solfanelli, Chieti, 2012, €. 14,00.
Alessandro Cavallanti, Antonio Fogazzaro nei suoi scritti e nella sua propaganda. Un po’ di vera luceOpuscoli Popolari Antimodernisti (2, 1911), Solfanelli-Edizioni Amicizia Cristiana, 2008, €. 5,00.
Anche la storia dell’Italia contemporanea, lo ricordava Cecilia Gatto Trocchi ne Il Risorgimento esoterico (1998), è legata al fitto intreccio “di interessi per la magia, il sapere occulto, la dimensione sapienziale e misterica” che si sviluppa negli anni dell’Unità e in cui affonda le sue radici lo “spiritualismo materialistico” postmoderno.
È la fase del passaggio a concezioni “positive”, in cui la magia perde ogni connotato tenebroso e si diffonde un’idea energetica della natura, delle forze, palesi e nascoste, che la abitano e la governano. Anche l’occultismo diventa una specie di scienza. Mistero e oggettività si sovrappongono e si confondono in modo arbitrario. Si cerca (e si ottiene) il ritorno al substrato animico delle cose, presupposto dal quale deriveranno non poche delle formulazioni attuali del sincretismo gnostico, tra cui quella oggi più in voga e che va sotto il nome di New Age.
cerretaUn contributo originale e suggestivo alla ricostruzione di questi processi, che investono in pieno il mondo cattolico, viene dal libro di Adele Cerreta Le origini esoteriche del Modernismo. Padre Gioachino Ambrosini e la teologia modernista, presentazione di Roberto de Mattei, introduzione “L’ombra della croce di Butti: un precedente de Il Santo di Fogazzaro” di Gianandrea Antonellis, Solfanelli, Chieti, 2012, €. 14,00.
A partire dalla figura poco nota, ma indubbiamente “singolare” del gesuita bolognese (ma cresciuto e formatosi in Francia e in Spagna) Gioachino Ambrosini (1857-1923), l’autrice indaga sui molti risvolti della “sintesi” modernistica e mette in risalto come la maschera progressista del modernismo – il rinnovamento dei principi dottrinali e morali del cattolicesimo attraverso l’incontro tra la teologia cristiana, la scienza e i principi della filosofia moderna, in particolare della critica kantiana – sia funzionale alla “cultura del regresso” cui s’è appena accennato.
Occultismo e modernismo. Lettere familiari ad un amico di padre Ambrosini è un’opera non molto conosciuta. Anche se è stata segnalata di recente a fianco del Manuale di Teosofia di padre Giovanni Busnelli edito da “La Civiltà Cattolica” tra il 1909 e il 1915, come testimonianza della “reazione cattolica e gesuitica alla teosofia”, per “l’oggettiva complicità tra il movimento teosofico e quello modernista”, (M. Pasi, Teosofia e Antroposofia nell’Italia del primo NovecentoEsoterismo25. AnnaliStoria d’Italia, Einaudi, pp. 591-92).
Il libro esce a Bologna nel 1907 ed ha una forma epistolare. Si rivolge ad un immaginario Alfredo, simbolo dei giovani cattolici che padre Ambrosini vuole salvare dall’errore. Il suo scopo è svelare le “occulte attinenze” del modernismo, presenti nelle opere di Antonio Fogazzaro. In particolare ne Il Santo (1905), libro di enorme successo e risonanza, che venne definito da uno dei principali esponenti della teologia modernista, l’irlandese Georges Tyrrell (in una lettera a Henri Bremond) “il romanzo del movimento” e fu senz’altro uno dei più formidabili strumenti di affermazione e di propaganda delle nuove idee.
Come ricorda Adele Cerreta, Il Santo, viene pubblicato nel novembre 1905 da Baldini e Castoldi. Ha una “diffusione rapidissima” in Italia e all’estero, grazie anche alle numerose traduzioni realizzate tra il 1906 e il 1912 (tra le quali anche quella in giapponese). Tocca quote altissime nelle vendite, oltre 30.000 mila copie in Italia nell’arco di un anno, circa 100.000 mila in America e in Inghilterra fino all’estate del 1908. Il romanzo ottiene l’attenzione prolungata dei maggiori quotidiani europei e americani ed è inserito nell’Indice dei libri proibiti il 5 aprile del 1906.
Fogazzaro si sottomette alla condanna, ma continua a sostenere pubblicamente le idee de Il Santo. Non a caso il protagonista Piero Maironi, già personaggio centrale di Piccolo mondo antico (1895), ora penitente nell’abbazia di Subiaco, dove ha assunto il nome di Benedetto, auspica (lo fa notare Roberto de Mattei) una radicale riforma della Chiesa, ma operata dall’interno, senza scismi e rotture, secondo le linee esposte da altri personaggi, come Giovanni Selva e padre Salvati.
La chiave interpretativa de Il Santo sta nella purificazione della fede attraverso l’unità trascendente di tutte le religioni. Fogazzaro la espone nel quinto capitolo del romanzo ed essa coincide, come mostra il libro di padre Ambrosini, con le idee di Helena Blavatskij e di Annie Besant. Fondamentale è la riproposizione teosofica della legge induistica del karma. Si può individuare una forte analogia testuale tra molti passi de Il Santo e La chiave della Teosofia di Helena Blavatskij e ciò indica la presenza del comune orizzonte culturale del modernismo e della teosofia. In entrambi i casi l’esperienza umana si svolge in una realtà in cui la natura e lo spirito sono un’unica cosa e non possono essere separati.
È in questo modo che Il Santo partecipa alla identificazione del “paradigma” post-risorgimentale, in una forma strettamente complementare e parallela a quella ufficiale del laicismo e dell’anticlericalismo della Nuova Italia. Anche Il Santo contribuisce a definire il processo attraverso cui le classi dirigenti massoniche, poste alla guida del processo di unificazione nazionale, riconducono alla “Tradizione Primordiale” globalizzante la cultura cattolica, che esse ritengono la forma specifica e negativa della vita spirituale italiana.
Ciò si traduce in una cultura di propaganda, in una dimensione culturale concreta e operativa, che confeziona per i “nuovi italiani” una versione dogmatica e popolare dei principi iniziatici, agendo su un doppio pedale: la diffusione dell’ideologia ufficiale liberal-risorgimentale e la proposta di un “diverso cattolicesimo”. Diverso proprio perché originario, privo delle “incrostazioni dogmatiche e liturgiche accumulatesi nei secoli” e dunque autentico.
Si tratta di una pratica “mitopoietica” che tuttavia segue, nei suoi principi fondamentali, modalità sostanzialmente immutate dal Settecento ad oggi. Anche se, nel caso specifico de Il Santo, si fa sentire la diffusa sensibilità tardoromantica, intimamente legata, per quanto concerne le idee filosofiche e poetiche di Fogazzaro, con la Naturphilosophie di Schelling. Una concezione che vuole lo Spirito tutto racchiuso ed impresso nella natura e contiene in potenza numerosi temi della New Age, in particolare quelli connessi all’approccio “olistico” al problema umano.
Dunque la “mitopoiesi” massonica ha uno scopo prevalentemente politico. Si possono rintracciare con facilità nell’esoterismo nazional-religioso risorgimentale (si pensi a Mazzini ad esempio e alla credenza nella reincarnazione e nella vita extraterrestre), molti elementi neospiritualistici che saranno in voga con il nuovo pensiero acquariano.
fogCiò perché, dopo l’Unità, si afferma una vera e propria ideologia sostitutiva, strumento pedagogico per la Nuova Italia. Basti ricordare, per restare nel campo della costruzione sociale attraverso la letteratura, ad un livello assai superiore a quello de Il Santo, ma pur sempre sul duplice piano iniziatico e popolare, al romanzo “per ragazzi” Pinocchio, sofisticato tentativo di dotare l’Italia di una cultura neopagana, come hanno dimostrato Nicola Coco e Alfredo Zambrano nel libroPinocchio e i simboli della “Grande opera” (1984). Senza dimenticare che tutto accade nel quadro del disegno cosmopolitico, esplicitamente rivendicato dalla teosofia massonica, della “grande fratellanza umana su tutta la terra”, entro cui disciogliere le residue istanze “identitarie” della nazione e della sua cultura.
In questo quadro è utile rileggere il secondo degli “Opuscoli popolari Antimodernisti” del direttore de “L’Unità Cattolica” don Alessandro Cavallanti (1879-1917), dedicato a Antonio Fogazzaro, nei suoi scritti e nella sua propaganda. Un po’ di vera luce (1911), ristampato qualche anno fa (2008) sempre da Solfanelli nelle Edizioni Amicizia Cristiana (€. 5,00). L’intervento di don Cavallanti costituisce (lo indica la quarta di copertina), un segno del persistere dell’influenza modernista presso il clero e i circoli cattolici anche all’indomani della Pascendi (1907) di san Pio X. Significativo il caso del vescovo di Cremona Geremia Bonomelli, che lodò Fogazzaro nell’opera Profili di personaggi italiani (1911) e subì il monito di Papa Sarto.

mercoledì 30 maggio 2012

Recensione: STELLA E CORONA (Sofia Secchi su www.mangialibri.com)


Sono passati sessantacinque anni dalla caduta del fascismo. Il sogno di libera espressione della voce del popolo si è rivelato una chimera. La sostituzione di un élite con un’altra, del partito unico con un’unica congrega, della dittatura con l’oligarchia. Ecco cosa vediamo. Il nobile patto costituente è diventato la trama degli intrighi di palazzo.  Così il simbolo della Repubblica, la ruota dentata, sembrerebbe non essere affatto una ruota, “ma una tavola rotonda con venti sedie, dal significato oscuro”.  E non c’è dubbio che il tallone d’Achille di una democrazia che non funziona sia proprio il sistema elettorale, quel sistema che legittima i rappresentanti del popolo ad agire per conto e secondo la volontà di questo. Ma nella storia repubblicana, da 1946 ad oggi,  il ruolo delle elezioni è stato altro. È stato  quello di fornire a dei capi “un’investitura, permanente o periodicamente confermabile, che gli conferisca un potere incondizionato, senza i contrappesi e i controlli propri di una democrazia rappresentativa”. E questa distorsione del ruolo delle elezioni si è notevolmente accentuata con il sistema vigente, proporzionale, con premio di maggioranza a liste bloccate, il cosiddetto porcellum, approvato nel dicembre 2005 come atto politico del governo Berlusconi II. Le critiche al porcellum sono molte. In primis le liste bloccate per Camera e Senato rappresentano un esproprio di sovranità popolare, la negazione del giudizio degli elettori verso gli eletti. In secondo luogo il sistema non funziona  sul piano politico, permettendo che lotte di potere si svolgano continuamente sia dentro che fuori le Camere; le crisi parlamentari sono all’ordine del giorno. Va notato poi che con il premio di maggioranza regionalizzato è quasi impossibile formare una maggioranza coerente tra Camera e Senato. Ma questo è solo quello che è sotto gli occhi di tutti. Poi ci sono i brogli, che si susseguono nella storia repubblicana a cominciare da quello del referendum repubblica/monarchia nel 1946, fino al più recente nel 2006 con la seconda vittoria di Prodi.  “Sembra quasi di intravedere una possibile legge empirica: ogni qualvolta che c’è una meta da raggiungere, una soglia da superare, è certo che la barca delle elezioni si piegherà, compirà ardite manovre, virate pericolose, per cogliere obiettivi che nulla hanno a che fare con la sovranità popolare tramite il voto”.  Verrebbe allora da chiedersi : vince chi vota o chi conta?...
Giorgio Galli, uno dei maggiori politologi in Italia, e Daniele Vittorio Comero, esperto elettorale, ci mettono di fronte alla storia repubblicana, puntando il dito contro il sistema elettorale vigente. Ci mostrano con occhi disincantati cosa si nasconde dietro le quinte, facendoci addentrare negli ingranaggi della macchina elettorale e presentandoci i suoi gestori senza maschera. Abbiamo bisogno di trasparenza e semplificazione per poter scegliere coscientemente coloro che ci dovranno rappresentare. Abbiamo bisogno di vivere la storia dei partiti, la loro attività, aver ben presente i loro resoconti finanziari. Ne abbiamo bisogno per riavere parola. “Il processo di delega ha bisogno di fondarsi sulla fiducia, sulla consapevolezza dell’elettore che liberamente sceglie la persona più adatta con cui farsi rappresentare”. Gli elettori sono disillusi, nella classe politica non si riconoscono, a votare non ci vanno più. Dopo tutto gli si chiede una semplice crocetta, gli si chiede di accettare il vicolo cieco di un simbolo, trattenendo un fiume di parole. Sanno bene che questo sistema non è onesto e non vogliono più farne parte.  Galli e Comero quindi danno una possibilità al popolo elettorale per non uscire dalla vita politica, ma al contrario per riconquistarla. Propongono un sistema elettorale non più lesivo della sovranità popolare, bensì basato su di essa e fiducioso nella capacità di scelta di un popolo che ha già sopportato troppo.


Stella e Corona – Sogni, utopie e brogli elettorali nella democrazia elettorale italiana 1946–2011

sabato 10 marzo 2012

Veloce recensione al libro "La perestroika dell'ultimo Mussolini"

Una frettolosa e fugace lettura al recente libro di Primo Siena, la Perestroika di Mussolini. Ed. Solfanelli 2012, avendomi fatto percepire qualche nota stonata all’argomento trattato, mi ha sollecitato a scrivere questo frettoloso commento.
Non parlo della ricostruzione storica eseguita dall’autore, il quale rievoca e ricostruisce il passaggio dalla dittatura (cesarismo) alla Rsi quale tentativo mussoliniano di arrivare ad una “democrazia organica ed olistica di radici greco romane”, che mi sembra ineccepibile anche se non esaustiva, ma di come questi, nella sua esposizione, volontariamente o involontariamente che sia, finisce poi per mettere positivamente in relazione gli intenti e il pensiero dell’ultimo Mussolini con quello che, nel dopoguerra e su quel solco, avrebbe dovuto essere il Msi ovvero il partito neofascista.
In ogni caso essendo stata, come accennato, la mia lettura del libro alquanto affrettata, il giudizio resta sospeso e potrebbe essere integrato o corretto in un secondo momento.
Di conseguenza questa non deve essere intesa come una vera e propria recensione, ma più che altro una semplice nota a riguardo di una presunta continuità degli intenti del Duce, per quello che sarebbe stato il dopoguerra.
In sostanza, il testo del Siena, forse non sarà stata sua intenzione, ma dà l’impressione di una implicita giustificazione, non solo storica, ma anche politica, del ruolo del MSI un partito la cui nascita, seguendo il tema del libro, potrebbe considerarsi conforme agli intenti politici dell’ultimo Mussolini, soprattutto quelli con i quali, il 24 marzo 1945, nel suo “soliloquio” riportato dal giornalista Ivanoe Fossati ed evidenziato dall’autore, invitò i fascisti, considerando assolutamente persa la guerra, ad essere, per il dopoguerra, ligi alle leggi che il popolo vorrà darsi e cittadini esemplari, onde non intralciare la difficile opera di ricostruzione del paese, in pratica di mettere “la Nazione al di sopra della Fazione”.
Un ruolo quindi non eversivo questo che, lascia indirettamente capire l’autore, il Msi avrebbe interpretato anche con il suo “non rinnegare e non restaurare” (ci sarebbe però anche da dire che, in quell’intervista, Mussolini così si espresse, ma in via transitoria, ovvero per non creare ulteriori problemi e danni nell’opera di una difficile rinascita nazionale).
Ora, che Mussolini con la Rsi avesse definitivamente superato il ventennio, il partito unico, le cariche dall’alto, il cesarismo, ecc., è verissimo come può essere vero che, realista com’era, abbia indicato, per quelli che sarebbero stati i comportamenti dei reduci del fascismo nel primo dopoguerra, un ruolo transitoriamente non rivoluzionario, ma partecipativo alla ricostruzione nazionale, ma al contempo è altrettanto vero che, in più occasioni, egli espresse soprattutto e con estrema decisione, l’intento di salvaguardare il patrimonio delle conquiste sociali della RSI.
I tentativi di Mussolini, seppur falliti, di un trapasso indolore dei poteri, fatto in modo che i socialisti, forse anche i repubblicani e gli azionisti, ereditassero l’istituto repubblicano le recenti Leggi sulla socializzazione, sono inequivocabili ed evidenziano ancor più la sua volontà di rinnovamento. Ma stranamente l’autore vi fa pochi e fugaci accenni.
Anzi, egli sottolinea invece quello che avrebbe ricordato Pino Romualdi, nel suo libro “Fascismo Repubblicano”, circa un colloquio che questi ebbe con Mussolini il 21 aprile 1945 nel momento in cui gli Alleati sfondarono il fronte e stavano per dilagare nella valle Padana.
Personalmente non ci fidiamo affatto dei ricordi postumi di Romualdi, un personaggio la cui posizione nella resa di Como dei comandi fascisti del 27 aprile 1945, a nostro avviso, deve storicamente ancora essere chiarita, ma ancor meno ci fidiamo in questo caso, visto che, tali ricordi, così come riportati sembrano proprio calibrati per legittimare quell’anticomunismo missista finalizzato a giustificare la nascita e l’operato cinquantennale di questo partito di cui Romualdi fu, non solo tra i fondatori, ma anche uno dei massimi dirigenti. A sentire Romualdi, Mussolini gli avrebbe detto: “se dovessimo crollare è necessario che i superstiti, quelli che in questo nostro fascismo hanno creduto, conservino il meglio delle nostre idee. Sono più che mai convinto che il liberismo classico abbia fatto il suo tempo, ma bisogna aiutare il paese a non cadere nelle braccia del comunismo”.
Noi non possiamo sapere se queste siano state le vere parole di Mussolini, o comunque in che senso egli le espresse, ma riportate da un alto esponente missista potrebbero anche lasciare intendere che se anche è pur vero che il liberismo è anacronistico, dovendo preliminarmente contrastare il comunismo, potrebbe anche essere il male minore.
In ogni caso non poteva essere in questo senso il vero intendimento di Mussolini, perchè egli accarezzava un altra, sia pure problematica e in definitiva impercorribile strada: quella di un lascito di tutte le conquiste sociali e Istituzionali della RSI ai socialisti.
Un percorso questo, attraverso un ponte verso le sinistre, che il ricercatore storico Franco Morini, il 3 marzo scorso, proprio su queste pagine ha ricostruito magistralmente.
In quel tragico momento, infatti, Mussolini voleva mettere gli Alleati di fronte al fatto compiuto, come scrisse Ermanno Amicucci, già direttore del Corriere della Sera, nel suo “I 600 giorni di Mussolini”, Ed. Faro Roma 1948: “Mussolini voleva che gli anglo americani e i monarchici trovassero il nord Italia socializzato, avviato a mete sociali molto spinte; voleva che gli operai decidessero nei confronti dei nuovi occupanti e degli antifascisti, le conquiste sociali raggiunte con la RSI”.
Era proprio questa la vera e ultima eredità del Duce, come da lui stesso attestato nella lettera che indirizzò, tramite Carlo Silvestri, al Psiup la sera del 22 aprile 1945 (guarda caso proprio il giorno successivo al colloquio riportato da Romualdi).
In essa vi si dice che il passaggio formale dei poteri doveva attuarsi dalla RSI ai socialisti e non già ai borghesi e alle forze reazionarie. In via di principio, addirittura, l'offerta avrebbe voluto estenderla anche agli stessi comunisti, ma rendendosi conto, come egli steso riferì al socialista Carlo Silvestri, che essi l’avrebbero rifiutata dati i loro legami internazionali che li subordinavano a Mosca e di riflesso agli inglesi, vi soprassedeva.
Mussolini tuttavia si augurava che in un prossimo futuro anche gli stessi comunisti potessero riconoscere la validità delle riforme sociali rivoluzionarie della RSI.
Dirà in quei giorni Mussolini al socialista Carlo Silvestri:
“Quanto maggiore cammino si sarebbe potuto fare in quest’anno se un gruppo di socialisti seri e responsabili mi avessero dato la loro collaborazione?
No, mai e poi mai. Anche se dipendesse dal nostro apporto dare a Mussolini la possibilità di realizzare il programma (…) del socialismo. No, mai e poi mai? Perché? Perché è Mussolini.
Vi dico che il più grande dolore che potrei provare sarebbe quello di rivedere nel territorio della Repubblica sociale i carabinieri, la monarchia e la Confindustria.
Sarebbe l’estrema delle mie umiliazioni. Dovrei considerare definitivamente chiuso il mio ciclo, finito”.
E’ in ogni caso importante considerare quanto accadde la sera del 22 aprile 1945 quando il Duce ricevette Carlo Silvestri. In quella occasione, come accennato, egli formalizzò una serie di appunti che consegnò al Silvestri pregandolo di inoltrarli alle forze moderate e socialiste della Resistenza:
“Compagni socialisti. Benito Mussolini mi ha chiamato e mi ha dettato questa dichiarazione che mi ha autorizzato a ripetervi. Poiché la successione è aperta in conseguenza all’invasione anglo americana, Mussolini desidera consegnare la Repubblica Sociale Italiana ai repubblicani e non ai monarchici, la socializzazione e tutto il resto ai socialisti e non ai borghesi. Della sua persona non fa questione.
Come contropartita chiede che l’esodo dei fascisti possa svolgersi tranquillamente. Nel proporre questa trasmissione dei poteri, egli si rivolge al partito Socialista, ma sarebbe lieto se l’idea fosse considerata ed accettata anche dal partito d’Azione nel quale, del resto, prevalgono le correnti socialiste.
...A quanto sopra sono autorizzato ad aggiungere che come contropartita Mussolini chiede:
a) garanzia per l’incolumità dei fascisti e dei fascisti isolati che resteranno nei luoghi di loro abituale domicilio con l’obbligo della consegna delle armi nei termini stabiliti;
b) indisturbato esodo delle formazioni militari fasciste, così come di quelle germaniche, nell’intento di evitare conflitti e disordine tra italiani e distruzione di impianti da parte dei tedeschi e nuove rovine e lutti nelle città e nelle campagne”.
Facciamo ora un salto avanti e veniamo al Msi. L’autore rileva in questo partito, tre anime: quella di Destra impersonata da Michelini e con diverse sfumature da Romualdi, De Marsinich, ecc., quindi quella sociale, impersonata da Almirante, ed infine una componente minoritaria che si riferiva a quei giovani che si rifacevano a Evola o Gentile, ecc.
Tutto giusto, anche se noi oggi sappiamo bene che bisogna fare un doveroso distinguo tra la base e i dirigenti che veramente contavano nel Msi, dirigenti che, sostanzialmente, erano tutti attestati su posizioni di destra, in quanto l’anima sociale di Almirante, in realtà, era strumentale ovvero costui la interpretava ad uso e consumo della base, per poi abbandonarla al momento opportuno, fino a quando, con la fine degli anni ’60, da Segretario del partito la liquidò definitivamente mettendo in piedi quel baraccone multicolore che fu il Msi Destra Nazionale.
Il giudizio positivo, seppur non espresso, ma implicito di Primo Siena sulla nascita e l’operato del Msi, che si riallaccerebbe alla transizione operata dalla dittatura ad una democrazia organica, se pur ha una sua ragione storica, non tiene però conto di importanti elementi politici, senza i quali si perpetua l’equivoco di considerare questo partito come erede del fascismo.
Ora è pur vero che l’intenzione di far nascere un partito, conforme al sistema democratico e che intendeva operare politicamente senza alcuna presunzione di voler “restaurare” un passato oramai chiuso definitivamente, è una scelta politicamente accettabile e possiamo anche metterla in linea con le intenzioni dell’ultimo Mussolini riassunte anche nel suo “soliloquio” riportato da Ivanoe Fossati.
Non è questa la critica che può essere elevata al Msi che nacque proprio con l’intento di consentire ai reduci del fascismo di tornare a recitare un ruolo politico nella nuova repubblica italiana (purtroppo però non c’era soltanto questo intento, perchè vi era anche il subdolo fine di trasbordare quei reduci su sponde di destra e filo occidentali).
Sono i contenuti politici e sociali assunti dalla dirigenza del Msi fin dalla nascita e ancor più accentuati con il passare del tempo, è la sua prassi politica cinquantennale, è il suo schieramento politico, interno e internazionale che, non solo, sono condannabili, ma risultano diametralmente opposti proprio agli intenti ultimi di Mussolini.
Cosa fa infatti il Msi, fin dalla nascita? Mette in piedi un partito, che oltre che imparentarsi con gli altri gruppi di destra come i residui della monarchia, il liberali, ecc., mano a mano che passano i mesi si sposta sempre più su posizioni di destra conservatrice e su posizioni filo atlantiche.
Tutto questo sostanziato e giustificato dalla sua collocazione a destra per la quale si infila in una politica di anticomunismo viscerale che funge da paravento per tutto il resto.
Non è qui il caso di accennare alla malafede, a quell’opera infame, seguita da alcuni esponenti di quel partito, sotto l’egida di conventicole massoniche, industriali, e con l’approvazione dell’Oss e del Vaticano, un opera atta a trasbordare a destra i reduci del fascismo repubblicano che di destra certamente non erano, ma occorre sottolineare come questa politica di destra conservatrice e sussidiaria allo schieramento pro Jalta nell’ambito americano, di fatto e di pensiero, rinnegava in toto proprio quell’ultimo Mussolini.
La politica missista di destra, infatti, era diametralmente opposta ad una politica finalizzata a grandi riforme sociali, come quelle già attuate nella RSI ed abrogate per volontà Alleata e degli industriali, essa costituiva una totale negazione del patrimonio sociale del fascismo, di quel fascismo che si diceva di “non voler rinnegare”. Al contempo il filo atlantismo, esteso in ogni ambito politico e sociale (come dimostra l’atteggiamento missista anche per le politiche energetiche del paese, per esempio petrolio e nucleare) e le relazioni da tenere verso i paesi del terzo mondo e del mediterraneo, è stato un tradimento, reiterato per cinquanta anni, degli interessi nazionali.
Sull’attitudine dell’anticomunismo viscerale, assunta dal Msi a prescindere, è meglio stendere un velo pietoso, perchè sappiamo benissimo che questa attitudine avrà in qualche modo gravi responsabilità nel clima di odio e di sangue, utile al sistema e alle strategie atlantiche, che si venne a creare durante gli anni di piombo.
Con questi presupposti il Msi non poteva che esercitare una politica da ruota di scorta della DC, fino a sfociare in Alleanza Nazionale e il suo aperto neo liberismo.
Del resto, a quanto sembra, lo stesso Romualdi, poco prima di morire, aveva liquidato anche quella parvenza di corporativismo, che era sempre stato sbandierato strumentalmente da parte del Msi, non ritenendolo più attuale ai tempi moderni.
Torna quindi, tanto più significativa la preveggenza di Mussolini, espressa nella precedentemente accennata intervista a Ivanoe Fossati, per cui disse esplicitamente: “i miei veri figli nasceranno dopo”.
E non si sbagliava affatto, visto che tutta la storia del Msi ci mostra che questo partito era più che altro conforme ad una parte minoritaria, seppur non indifferente (oltre un milione di anime) del nostro popolo: quella di destra, conservatrice, reazionaria, in genere cattolica e borghese, quella che, in definitiva, albergando nel Ventennio, aveva già portato il fascismo al 25 Luglio.
Un anima del nostro popolo individualista, pregna di ideali retorici e che, dal dopoguerra in avanti, assumendo sempre più atteggiamenti e contenuti mutuati dall’americanismo, era anche degenerata in un animo gretto e meschino, privo di quei sentimenti di mutualità, solidarietà e socialità che erano invece sempre stati alla base del fascismo.
Dunque, anche qui possiamo dire, parlando in termini storico politici, che il Msi ha legittimamente e, da par suo, giustamente, incarnato questa destra, non estranea, ma pur presente nella cultura del nostro paese. E fin qui potremmo non aver nulla da obiettare, ma quello che bisogna altrettanto dire e specificare e che tutto questo con il fascismo e con Mussolini, neppure con la sua “perestroika”, non c’entra nulla.

Maurizio Barozzi

http://fncrsi.altervista.org/Recensione_a_La_perestroika_dell_ultimo_Mussolini.htm



La NOTA di Giorgio Vitali

Il commento di Maurizio Barozzi è più che completo e condivisibile. Tuttavia, è importante precisare come in realtà si sono svolte le cose nell'ambito del reducismo repubblichino, altrimenti è molto difficile comprendere come ci sia stata una così forte (ed anche, se vogliamo, rapida) inversione di tendenza. Anche perchè era sentito da tutti che la Guerra della RSI è stata una guerra ANTIATLANTICA in tutto e per tutto (tant'è vero che è stata combattuta in nome di una posizione chiaramente eurasiatista, stante la nostra un'alleanza molto stretta con una Germania, impegnata a fondo, anche per una questione di spazi vitali, in uno scontro fondamentalmente eurasiatico).
Sicuramente uno degli elementi che maggiormente hanno agito in questo senso è stato l'"anticomunismo", e qui occorrerebbe indagare a fondo tanto su questo modo di sentire, quanto sul rifiuto del partito socialista, o meglio, degli pseudo socialisti del CLNAI, organismo assolutamente inattivo, ad accogliere l'eredità sociale della RSI. (Forse di mezzo c'era anche la paura di essere assassinati, stante quanto accaduto a Bruno Buozzi).
E qui ci sarebbe da indagare sul perchè dei tanti attentati organizzati dal PCI, e se per caso questi non fossero stati patrocinati proprio dagli Atlantici, per ingenerare un senso di anticomunismo viscerale nei fascisti superstiti. Su questo argomento a suo tempo, qualcuno della Democrazia Cristiana si era lasciato sfuggire alcune ammissioni. Ed il 18 aprile la conclusione fu la vittoria del Vaticano (anche CONTRO l'Inghilterra, che puntava ancora sul sistema del Partito d'Azione collegato con la monarchia). Sul grado di sprovvedutezza di molti giovani ex repubblichini, nella Roma di fine anni quaranta fa da testo il libercolo del noto scrittore Enrico De Boccard (ex Decima MAS) intitolato: "Il passo dei repubblichini", edito da "Le lettere".
Ma un altro punto va preso in considerazione. Nel MSI era presente anche il nutrito gruppo degli uomini della cosiddetta "sinistra", che era numeroso e ben determinato, anche dal punto di vista culturale. I nomi abbondano. Questi esponenti avevano anche i loro fogli, che non erano pochi ed uscivano regolarmente. E tuttavia costoro non sono mai riusciti a "sfondare", nè nelle regolari elezioni "interne" e tantomeno nelle elezioni "esterne". (Meno qualcuno, tipo Niccolai, che però viveva in un ambiente umano "consono", la Toscana).
E ciò valga anche come insegnamento della prassi politica. Infatti, noi pensiamo che sia stata proprio l'ampia libertà di diffusione delle tesi di questi esponenti a creare una mistificazione sostanziale. Infatti, leggendo quei periodici, di cui noi abbiamo ampia documentazione, gli aderenti al MSI erano indotti a credere che i temi dibattuti anche all'interno della direzione di quel partito fossero su quel tenore politico. In realtà era esattamente il contrario, ed alla fine, nella sostanza, s'imponeva sempre la posizione "destrista".
Un altro elemento infine è stato costituito dal modo di agire, ampiamente ambiguo, di certe figure, impropriamente "carismatiche" nei confronti delle forze politiche del tempo. Ci riferiamo soprattutto al Maresciallo Graziani, che nei suoi "contatti", probabilmente portati «a fin di bene» (c'era di mezzo anche la sopravvivenza di molte persone ridotte alla fame) aveva stabilito legami con chiunque. La questione è stata documentata finora da pochi testi, che comunque sono esaustivi, soprattutto per chi interpretare i fatti. Il primo libro, molto interessante, fu scritto da un prete che bazzicava nel Vaticano, tal Alighiero Tondi, poi diventato comunista. Titolo: "Vaticano e neofascismo", terza edizione 1952, 20° migliaio.
Ma soprattutto il recente "Rodolfo Graziani, fascista conteso - Il difficile rapporto con il MSI, gli sfuggenti contatti con il PCI, l'evoluzione del combattentismo nero. 1947-1962" del giovane storico Alfredo Villano, edito nel 2011 dal noto editore "Storia Ribelle" di Biella.
Sta di fatto che i contatti di Graziani, dato il ruolo e la funzione che ebbe in RSI, ebbero valenza politica significativa anche se costui non può essere annoverato fra i fascisti, non essendolo mai stato. Ed essendo stato scelto da Mussolini per il suo prestigio fra le truppe e il grado che gli permetteva di trattare coi tedeschi da una posizione di forza. E forse anche questo è stato un equivoco di fondo da tenere sempre presente.

Giorgio Vitali

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venerdì 9 marzo 2012

RECENSIONE di Giorgio Vitali

Primo Siena
La perestroika dell'ultimo Mussolini
Solfanelli Editore

Consigliamo ai frequentatori del nostro sito la lettura di questo libro recentemente uscito per i tipi di Solfanelli. L'autore, che è uno studioso molto conosciuto, anche perchè sulla breccia da decenni, tratteggia un quadro generale della vicenda che ha portato dal fascismo del ventennio a quello, sia pure, moto breve, della RSI. Il passaggio va studiato passo passo per capire quanto in questo passaggio era già compreso nella mante del Duce e quanto invece fosse determinato da necessità contingenti. Che erano molteplici. Per la verità, non sono pochi gli studiosi che hanno scritto libri per documentare la sostanziale coerenza dell'azione politica mussoliniana: da "l'Avanti" alla RSI. Tra di essi due professori di Università statunitensi: Galatoli Landi e Gregor. Importante è anche il capitolo dedicato ai progetti di costituzione della RSI.
Su di essi si è a suo tempo scritto. Un testo significativo è quello di Franco Franchi: "Le Costituzioni della RSI", ed Sugarco, 1987 e "Caro Nemico, La Costituzione scomoda" di D. Galimberti, Ed Settimo Sigillo, 1990.
Su queste costituzioni, preparate da insigni costituzionalisti,ma non istituzionalizzate, è da dichiarare senza mezzi termini che la Storia fa strame dei progetti non realizzati. Si adduce a giustificazione il fatto che il territorio della RSI si stava gradualmente riducendo, non permettendo di chiamare al voto un numero consistente di italiani. Non lo discutiamo, ma dobbiamo anche aggiungere che la Costituzione repubblicana vigente, ma ben poco applicata, è stata ed è a tutt'oggi contestata proprio perché una massa notevole di italiani non poterono partecipare al voto (ne sono note le ragioni) ed anche perchè il risultato del voto fu PALESEMENTE FALSIFICATO. La falsificazione riguardò tanto il quadro istituzionale (Repubblica/Monarchia) quanto la composizione della Costituente, quanto il voto del 18 aprile.

Giorgio Vitali

http://fncrsi.altervista.org/La_perestroika_di_Mussolini.htm

venerdì 2 marzo 2012

Intervento di Pietro Giubilo alla presentazione del libro di primo Siena “La perestroika dell’ultimo Mussolini“

Vorrei innanzitutto esprimere una considerazione non collegata direttamente al libro di Siena.

Il malessere italiano che nasce come crisi morale e politica e che si esprime in un Paese che oggi arretra economicamente e presto anche socialmente e che non riesce a trovare la strada per una grande riforma costituzionale, sola in grado di ricreare una reale e forte condizione democratica, cioè un nuovo patto tra istituzioni e popolo, questo malessere, dicevo, deriva , a mio avviso, da una lunga linea grigia di “guerra civile” politica, permanente, che riemerge come un fiume carsico nel corso della nostra storia contemporanea ed anche negli ultimi decenni.

I quasi venti anni della politica italiana dai primi anni novanta ad oggi sono espressi da due episodi emblematici : il lancio delle monetine a Craxi davanti al Raphael il 30 aprile del 1993 e le contestazioni a Berlusconi quando si reca al Quirinale per dimettersi il 12 novembre 2011.

Corollario di questa lunga linea di odio politico è l’idea teorizzata da Massimo Giannini – vice direttore di Repubblica - e divulgata dal suo editore , di un Berlusconi “fascista”.

Ricordiamo di passata che tale giudizio venne attribuito nel passato anche a Tambroni, a Fanfani ( Nenni lo definì “vecchio fascista” ), a Craxi e me ne dimentico altri.

Come dire: c’è sempre un antifascismo che riappare come la ragione della politica italiana.

Un libro come questo di Primo Siena che mostra aspetti su Mussolini e la RSI ignorati dalla storiografia azionista o comunista, può aiutare a spiegare più compiutamente la recente storia italiana.

E, soprattutto a ritrovare elementi unitari e pacificatori che sempre andiamo rincorrendo, e, per certi aspetti, invano.

Debbo dire, sempre a questo proposito che c’è un altro episodio emblematico rappresentato dal discorso di Berlusconi ad Onna il 25 aprile del 2009 – unica occasione nella quale l’ex premier festeggiò la ricorrenza della liberazione - nel quale celebrò la ricorrenza come “una festa di tutti gli italiani che amano la libertà e vogliono rimanere liberi “.

Sempre in questo ordine di questioni , senza volermi dilungare, ritengo che un altro problema storiografico dovrebbe essere oggetto di ulteriori ricerche.

Mi riferisco alle vicende del 25 luglio del 1943 definite “per certi versi ancora da decriptare” dal professor Giuseppe Parlato nella prefazione ad un intelligente libro di Pietro Ciabattini e che sono state oggetto di alcune “rilevazioni”, in parte già note, nel libro di Piero Buscaroli “Dalla parte dei vinti”, ma il cui contesto, quello cioè della “pace separata con l’URSS “ è oggetto, in questo periodo, di una importante ricerca da parte di Eugenio Di Rienzo ed Emilio Gin , anticipata nel numero di gennaio aprile 2011 del quadrimestrale “Nuova Rivista Storica”.

Passando al contenuto del libro oggi presentato, che intenderebbe descrivere il Mussolini più vero, che fa studiare e vorrebbe presentare un progetto di Costituzione , esso sembra andare in controtendenza rispetto al giudizio più drastico di Renzo De Felice, per il quale “Mussolini come capo politico della RSI non esistette o quasi”.

Primo Siena , anzi, riconosce come nella perestroika della sua fase ultima, il Mussolini affermi la vera natura del suo pensiero che non era dittatoriale o totalitario, ma quello di una democrazia organica, alternativa alla democrazia dei partiti ed espressione della società civile e dei corpi intermedi.

E’ una tesi coraggiosa e non senza fondamento.

Ne sono ampliamente descritti i riferimenti intorno al fermento culturale e religioso di organizzazioni, intellettuali, periodici e giornali che dimostrano un pluralismo intellettuale e politico dentro la RSI , pensiamo a Pound, Marinetti, Coppola, Ojetti Buzzati, Spampanato, Spirito, Amicucci, Pettinato ed altri.

Ed è questo un elemento importante che dimostra il carattere non assolutista di questa fase del fascismo repubblicano.

Soprattutto è interessante la descrizione e l’analisi dei documenti sugli aspetti istituzionali del popolarismo mussoliniano dal Manifesto di Verona al progetto costituzionale del Ministro Carlo Alberto Biggini e di Vittorio Rolandi Ricci.

Tuttavia su questo punto desidererei fare alcune osservazioni:

la prima è che non trovo nella pur attenta descrizione di Siena sul Congresso di Verona, forse mi sono sfuggite, quelle critiche o piuttosto quella “delusione” che Mussolini provò – come ha descritto Spampanato nel suo Contromemoriale - poiché avrebbe voluto, come riporta Renzo De Felice “una maggiore maturità dei delegati” o “entrare più in profondità” per cui avrebbe preferito “dieci giorni di riunioni”. l’altro aspetto che vorrei sottolineare è che pur nella positività del far emergere questa idea di democrazia organica, trovo più congeniale , per una ispirazione cattolica, l’idea di una società organica , che , ovviamente, non è la stessa cosa.

Una democrazia organica è forse l’espressione di un sistema politico basato sul potere dei corpi intermedi, differente dalla idea di una democrazia diretta che, ad esempio, in modo magistrale, descrive Giuseppe Capograssi nei suoi scritti sull’argomento.

C’è, infine, un aspetto che giustifica un giudizio ampiamente positivo e offre un significato importante a questo lavoro di Primo Siena.

Siena documenta ampiamente e ci aiuta a capire la vera natura del fascismo che è massimamente necessaria ed utile per smantellare le tesi azioniste e della storiografia di sinistra che sempre hanno accumunato fascismo e nazismo, come una evidente somiglianza, tanto è vero che il termine nazifascismo è quello usato per descrivere questi fenomeni storici tra le due guerre , assimilate nella definizione di “male assoluto”.

Siena ci aiuta a comprendere l’identità del fascismo soprattutto attraverso quelle adesioni dall’area del socialismo moderato, della destra cattolica e dell’area mazziniana che descrive come quelle di Nicola Bombacci, Carlo Silvestri, Emilio Cione, Luciano Stanghellini, Barna Occhini, Giovanni Spadolini, Giacomo Barnes Ugo Manunta, Siro Contri e tanti altri.

Sono interessanti i fermenti, descritti nel libro, legati intorno a don Tullio Calcagno e Crociata Italica e le condivisioni di Giovanni Gentile che apprezzò questo rinnovamento di Mussolini verso una più accentuata identità cattolica certamente in contrasto con gli indirizzi neo pagani del nazionalsocialismo e della cultura di riferimento del nord Europa, peraltro indirettamente confermati dalle difficili relazioni con Farinacci.

Ma è soprattutto il sostrato culturale che anima il progetto costituzionale di Biggini a rilevare le caratteristiche di questa svolta importante del fascismo di Salò, nel quale, tuttavia, permane , se pur attenuato, un riferimento razzista forse influenzato dalla presenza germanica.

Questo aspetto del rapporto con l’”alleato” tedesco costituisce un problema storiografico che, come per le altre questioni indicate all’inizio, merita un approfondimento.

Occorre, per una analisi che possa alleggerire le responsabilità di Mussolini, continuare le ricerche e diffondere con ulteriori argomentazioni, la tesi per la quale la RSI fu anche un modo per il fascismo di esprimere più una esigenza di dignità nazionale messa alla prova dalla “morte della Patria” dell’ 8 settembre, che non la conferma di una alleanza - rispetto alla quale forse il Mussolini , accettando il voto del 25 luglio, pensava di porre in atto una strategia di sganciamento – che segna pesantemente il significato complessivo della vicenda mussoliniana.

Anche questa opera di Primo Siena dimostra non solo l’utilità della revisione storiografica, ma anche e soprattutto lo sforzo di libertà che non può non accompagnare lo studio e la ricerca scientifica della storia, contrastando alla radice gli argomenti di coloro che , invece, considerano il giudizio politico sulla storia come un dato non eliminabile, confermando un’idea di egemonia e di assolutismo che nessuna considerazione di tipo ideologico può giustificare.

Pietro Giubilo

http://www.culturaperlapartecipazionecivica.it/libri.php

La perestroika di Mussolini, la presentazione del Prof. Rasi

Il Prof. Gaetano Rasi, Presidente del Cesi e dell'Istituto Carlo Alberto Biggini, ha presenziato alla presentazione del libro di Primo Siena La perestroika di Mussolini, tenutasi a Roma venerdì 2 Marzo.

Il presidente Rasi nel corso del suo intervento, ha parlato principalmente del lavoro svolto con il Prof. Siena, nel periodo in cui quest'ultimo era ancora in Italia.

Scarica l'intervento di Gaetano Rasi


http://www.istitutobiggini.it/index.php?option=com_content&task=view&id=137&Itemid=1

venerdì 24 febbraio 2012

Presentazione a Roma: Venerdì 2 Marzo, ore 17:00

Il Sindacato Liberi Scrittori Italiani presenta di Primo Siena



La perestroika dell’ultimo Mussolini


Dalla dittatura cesariana alla democrazia organica

Edizioni Solfanelli



Venerdì 2 marzo 2012, ore 17,30 a Roma
aula Magna di Palazzo Sora, Corso Vittorio Emanuele n. 217

sarà presentata l’ultima opera di Primo Siena dedicata ad un’originale interpretazione storica dell’ideologia fascista lungo i crinali di una tragedia in parte tutta italiana.

PRESIEDE: Francesco MERCADANTE

INTERVENGONO: Gaetano RASI e Giuseppe PARLATO

SARANNO PRESENTI L'AUTORE PRIMO SIENA E L' EDITORE MARCO SOLFANELLI


SEGRETERIA ORGANIZZATIVA
tel. 06 8558065 – 347 1836042
sindacato.scrittori@tiscali.it

lunedì 20 febbraio 2012

LA PACIFICAZIONE DEGLI ITALIANI: LA DISPERATA IMPRESA DELL'ULTIMO MUSSOLINI (di Piero Vassallo)

Le lettere alla sorella Edvige attestano che, dopo il 25 luglio del 1943, Benito Mussolini, spossato dal prevedibile, infelice esito della guerra in atto, giudicava per sempre conclusa la sua vicenda politica.
I documenti e le autorevoli testimonianze raccolte da Renzo De Felice, peraltro, rammentano che, nel settembre del 1943, Adolf Hitler, dopo aver costretto il riluttante Mussolini a recarsi in Germania anziché alla Rocca delle Carminate, lo ricattò dichiarandogli brutalmente che, ove egli avesse respinto l'impellente richiesta di costituire un governo filotedesco, l'Italia sarebbe stata devastata dalla macchina della vendetta tedesca.
La storia della Rsi, per chi intende considerare i fatti senza cedere ai pregiudizi, si legge come svolgimento di un'azione angosciosamente finalizzata a placare la collera anti-italiana dei nazisti. La qualunque altra lettura sarebbe costretta a procedere contro i documenti e contro le attendibili testimonianze.
"La perestroika di Mussolini", edita da Solfanelli in Chieti, affascinante e scrupolosa opera di Primo Siena, volontario nell'esercito della Rsi prima di diventare uno fra i più vivaci e prolifici esponenti della cultura di destra, conferma che la vicenda politica della Rsi rappresentò il tentativo di Mussolini indirizzato a stabilire la solidarietà nazionale, all'interno dell'inevitabile e ormai tragica alleanza con l'incombente Germania.
Oggi sappiamo che, dopo la sconfitta di Stalingrado, neppure Hitler credeva nella vittoria dell'Asse. La speranza nelle armi segrete non era condivisa dal dittatore tedesco, che le vantava e le propagandava per persuadere i combattenti tedeschi a proseguire una guerra motivata solamente dalla preferenza accordata all'immane, wagneriana catastrofe quale alternativa alla resa incondizionata.
In questo funesto e per certi versi surreale scenario si svolse l'azione politica dell'ultimo Mussolini, un'impresa affannosamente finalizzata ad evitare che alla ormai sicura sconfitta si associasse una sanguinosa guerra civile e un'atroce resa dei conti.
Il disegno di Mussolini fallì vuoi per la strategia terroristica attuata dai partigiani in ossequio alle indicazioni dell'intelligence anglo-americana, vuoi per la sfrenata e cieca ferocia usata nelle rappresaglie compiute dai tedeschi, vuoi infine per gli errori del governo fascista, quali il bando Graziani, la costituzione di una milizia di partito, la tolleranza nei confronti degli estremisti.
Primo Siena dimostra tuttavia che Mussolini intendeva demolire l'ingombrante e irritante edificio burocratico del ventennio e costituire, sulle rovine del Pnf, una repubblica fondata sui princìpi della democrazia organica.
Al progetto di costituzione repubblicana, ad esempio, Mussolini volle che collaborassero insigni giuristi quali Vittorio Rolandi Ricci e Carlo Alberto Biggini. Al proposito Siena cita la ricostruzione compiuta da Franco Franchi nel saggio sulle costituzioni della Rsi.
Un segnale della volontà di respingere la qualunque intenzione di favorire l'esorbitanza del potere politico fu la decisione (conforme alla proposta del ministro di grazie e giustizia Piero Pisenti) di non esigere dai magistrati il giuramento di fedeltà alla Rsi.
Il duce, intanto, aveva avviato un costruttivo dialogo con gli esponenti del socialismo moderato, della destra cattolica e dell'area mazziniana. Siena cita i più autorevoli interlocutori non fascisti di Mussolini: Nicola Bombacci, Carlo Silvestri, Edmondo Cione, Luciano Stanghellini, Barna Occhini, Giovanni Spadolini, Fabio Tombari, Walter Mocchi, Sigfrido Borghini, Pulvio Zocchi, Ugo Manunta, Giacomo Barnes, Siro Contri oltre a numerosi dotti sacerdoti.
Il rinnovamento tentato da Mussolini fu immediatamente apprezzato e condiviso da Giovanni Gentile e al suo seguito dalla maggioranza dei più accreditati intellettuali del Novecento, convinti della buona fede di Mussolini. Frattanto un ingente numero di giovani, mossi da amor di patria, si presentava ai centri di reclutamento per chiedere di essere armati e inviati al fronte. L'entusiasmo dei giovani volontari non dipendeva dall'ideologia: Giuseppe Parlato (autore di una puntuale prefazione al saggio di Siena) rammenta che un militante nella Rsi disse - paradossalmente ma con un fondo di verità - che la sua decisione non sarebbe mutata se al posto di Mussolini ci fosse stata Greta Garbo.
Nella tragica e tumultuosa vicenda della Rsi, dunque, si può intravedere il profilo di una politica indirizzata alla pacificazione nazionale e al rilancio della dialettica partitica e delle attività intellettuali.
Il fatto più sorprendente messo in luce da Primo Siena è la straordinaria fioritura di attività culturali d'alto profilo nel periodo della Rsi. Attività mosse dall'aura inedita della libertà rivendicata da esponenti della pubblicistica fascista quali Carlo Borsani, Bruno Spampanato, Ermanno Amicucci, Concetto Pettinato, Mirko Giobbe, Mario Rivoire.
Nei giornali e nelle riviste dell'epoca apparivano firme prestigiose, ad esempio Ezra Pound, Filippo Tommaso Marinetti, Goffredo Coppola, Ugo Ojetti, Dino Buzzati, Giovanni Comisso, Gianni Brera, Ardengo Soffici, Giotto Dainelli, ecc.
La storiografia che abbassa i fascisti repubblicani alla figura di rozzi e sadici mercenari al servizio dell'invasore nazista, (si pensi al film Salò di Pier Paolo Pasolini) ha ristretto la storia della Rsi al margine minoritario costituito dagli estremisti che non compresero o addirittura tradirono le intenzioni di Mussolini e di Gentile.
La lettura dell'opera di Siena, puntuale e documentato contributo alla revisione storiografica, è dunque raccomandata a quanti intendono sottrarsi alle suggestioni storiografiche che i postcomunisti continuano a diffondere grazie al diffuso oblio della verità.

Piero Vassallo

http://www.riscossacristiana.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1358:la-pacificazione-degli-italiani-la-disperata-impresa-dellultimo-mussolini-di-piero-vassallo&catid=52:-a-cura-di-piero-vassallo&Itemid=123

giovedì 2 febbraio 2012

Il cittadino di fronte al voto: sogni, utopie e brogli (Milano, Lunedì 6 febbraio 2012, ore 21:00)


Il cittadino di fronte al voto: sogni, utopie e brogli


 L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” (art. 1 Costituzione). La prima e la più eccellente di queste forme sono le elezioni. Tutto molto semplice, in apparenza, non fosse per il fatto che le elezioni sono state, non di rado, oggetto di contestazioni, trascinatesi, in più di un caso, anche per mesi e anni. A venire messe in discussione possono essere le operazioni “preliminari” o gli stessi risultati elettorali, come nelle problematiche elezioni politiche del 2006. Di questo, ma non solo, trattano il politologo Giorgio Galli e Daniele Vittorio Comero, autori di “Stella e corona. Sogni, utopie e brogli elettorali nella democrazia elettorale italiana. 1946-2011

  
Lunedì 6 febbraio 2012, ore 21:00
via San Marco 14 - 20121 MILANO, cit. C.C.C.
R.S.V.P. 

con salvezza di capienza massima del mio salotto e significando che gli interessati, i quali abbiano confermato la partecipazione scrivendo alla email sopra indicata, potranno accedere non oltre le ore 21.15, non potendo dare comunque ingresso a chi non abbia avvisato e il cui nome non sia in lista.

                Giovanni Bonomo

    Centro Culturale Candide  
  
Nota sugli Autori
Giorgio Galli, già docente di Storia delle dottrine politiche presso l’Università degli Studi di Milano, è uno dei maggiori politologi italiani. La sua produzione di storico è orientata prevalentemente alla storia contemporanea italiana, in particolare al Secondo Dopoguerra. Oltre a un’intensa attività di commento giornalistico svolta in varie sedi e in particolare attraverso il settimanale “Panorama”, ha intrapreso ricerche più complesse e originali sull’intreccio tra vicende e dottrine storico-politiche e una serie di tradizioni e culture che il moderno ha più o meno relegato nel grande contenitore dell’irrazionale o del pre-razionale.
Daniele Vittorio Comero, esperto elettorale, membro del Comitato scientifico della Società Italiana di Studi Elettorali – SISE. Laureato in scienze politiche all’Università Statale di Milano, diplomato in statistica all’Università Cattolica di Milano, lavora presso l’Osservatorio Elettorale a Milano. Giornalista pubblicista, direttore del periodico “Civica”, ha collaborato con i periodici “Notizia Oggi”, Italia Magazine” e “Tradizione”. Già componente delle missioni internazionali in Russia in occasione delle elezioni presidenziali (1991 e 1996), è stato relatore in numerosi convegni, da ultimo al Consiglio regionale del Piemonte sui sistemi elettorali per il Parlamento (2011).