sabato 28 settembre 2013

Novità: STATO DI DISSOCIAZIONE di Mauro Cosmai


Mauro Cosmai

STATO DI DISSOCIAZIONE

Una psicopatologia italiana 



Stato

     È possibile formulare una diagnosi di malattia mentale per un’intera nazione, sia pure con le ovvie eccezioni? Sì, quando la stragrande maggioranza degli individui (medi) fa suoi i messaggi ambivalenti e schizoidi di sistemi politici, religiosi ed economici accettati supinamente. In più caratteristiche geopolitiche, linguistiche ed economiche veramente uniche foraggiano questi “sdoppiamenti” portando a una vera e propria sindrome dissociativa collettiva, a una realtà sociale schizoide (se non schizofrenica) che non ha eguali perlomeno nel mondo civile. Attraverso una serie di esempi, sintomi chiarissimi del disagio mentale nostrano, interpretati correttamente dal punto di vista scientifico ma esposti in maniera chiara e divulgativa (compresa una sottile vena d’ironia) questo libro stila un diagnosi indiscutibile di un paese dove i sani di mente, sempre più rari, vivono sempre più male.


Copertina di Vincenzo Bosica

[ISBN-978-88-7497-835-9]

Pagg. 248 - € 16,00

lunedì 26 agosto 2013

Recensione di Marcello Veneziani a INCONTRI NELLA TERRA DI MEZZO di Primo Siena (Edizioni Solfanelli)

Alla politica serve l'anima. O fallirà

La visione spirituale della vita è stata a lungo alla base di idee e azione. Oggi ce ne siamo dimenticati

Se uno dice oggi spiritualismo politico, la gente non capisce, qualcuno si mette a ridere. Spiritualismo è diventata già da sé una parola incomprensibile, tra lo spiritico e il conventuale. A parte il riferimento alla spiritualità in ambito religioso o new age, l'unica accezione corrente e comprensibile a tutti resta un genere musicale che evoca lo schiavismo, lo spiritual. Per il resto, sostituito il cristiano Spirito Santo con l'hegeliano Spirito del Tempo, si è via via capovolto in tempo senza spirito. Al più lo spirito è materia per la psicanalisi. Parole che indicavano contenuti, visioni, stati d'animo diventano vuote, insignificanti, perfino grottesche, come se un'ottusità di ritorno avesse chiuso spazi di pensiero, porte d'anima e campi di valori. Ma spirituale diventa ancor più inverosimile e alieno se correlato alla politica. Che vuol dire spiritualismo politico? Vuol dire farsi guidare nelle scelte e nei comportamenti da una visione spirituale della vita. E opporsi a una concezione materialistica, utilitaristica, opportunistica della politica. In pratica a un arco pressocché onnicomprensivo della politica contemporanea, dalla sinistra di derivazione radicale e marxista allo scientismo e al liberismo, dal razzismo - che è materialismo biologico, anzi zoologico - al dominio planetario della tecnica e della finanza.
Ho ripensato allo spiritualismo politico leggendo un libro di Primo Siena, Incontri nella terra di mezzo. Profili del pensiero differente (Solfanelli, pagg. 215, euro 15). Siena è stato un intellettuale militante nella destra spiritualista del dopoguerra, dopo una giovanile esperienza nella Repubblica sociale. Lasciò l'Italia per andare a insegnare all'estero e da alcuni decenni vive in Sudamerica, a Santiago del Cile. La sua lunga lontananza dall'Italia ha salvaguardato (o ibernato, secondo i punti di vista) la sua concezione etica e spirituale fermandola agli anni della sua giovinezza. In questo libro, come in altri da lui scritti, Siena compone un breve atlante dello spiritualismo politico passando per Giovanni Gentile, Giovanni Papini, Julius Evola, Marino Gentile, Guido Manacorda, Attilio Mordini, Silvano Panunzio, Michele Federico Sciacca, Ferdinando Tirinnanzi, Emilio Bodrero, Vintila Horia, Russel Kirk, Romano Guardini, Charles Maurras, Carlo Alberto Disandro. Oltre questi autori, a cui dedica ampi profili, Siena richiama tra le sue pagine altri pensatori e scrittori come Armando Carlini, Padre Agostino Gemelli, Padre Raimondo Spiazzi, Carmelo Ottaviano, Domenico Giuliotti, Augusto del Noce, Umberto Padovani, Massimo Scaligero, Camillo Pellizzi, Vittorio Vettori, Antonino Pagliaro, Adolfo Oxilia e altri. E cita nell'ambito dello spiritualismo politico alcuni sodali di gioventù, da Giano Accame a Mario Marcolla, da Fausto Gianfranceschi a Roberto Melchionda, da Enzo Erra a Piero Buscaroli, da Pino Rauti a Franco Petronio, da Fausto Belfiori a Silvio Vitale, da Gino Agnese a Piero Vassallo, e altri ancora.
Il tratto comune di questo panorama in apparenza eterogeneo è appunto il primato della visione spirituale, non solo d'ispirazione cattolica. I riferimenti storici e ideali della visione politica di Siena, che negli anni cinquanta fondò e diresse la rivista Cantiere e poi curò con Gaetano Rasi la rivista Carattere, sono situati tra Josè Antonio Primo de Rivera e Corneliu Zelea Codreanu. Capi perdenti di uno spiritualismo eroico, morti sul campo per le loro idee. Non mancano i riferimenti politici al Msi, ma dei suoi leader politici Siena ne accenna solo di sfuggita, riservando solo a Nino Tripodi e Beppe Niccolai giudizi positivi. Questa corrente di pensiero, che solo in parte può definirsi come «cultura di destra», in realtà attraversa l'esperienza politica della destra neofascista ma non vi si identifica. E gli autori prima richiamati non possono certo ridursi a quel contesto politico o partitico. Ora, la corrente militante dello spiritualismo politico finisce, come è inevitabile, con la fine della loro esperienza storica. Ma le opere disseminate lungo il Novecento da autori e pensatori spiritualisti sono state rimosse e cancellate, come se non fossero mai esistite. Eppure costituiscono un tratto saliente della cultura italiana del secolo scorso. Lo spiritualismo, anzi, ha permeato il pensiero italiano assai più che il materialismo storico e il radicalismo, ma anche più dell'utilitarismo e del pragmatismo, del liberalismo e degli altri filoni di pensiero scientifici e strutturalisti, analitici ed esistenzialisti. E non solo: per un secolo almeno la scuola pubblica e l'università sono state permeate dall'umanesimo spiritualista. Missione dei docenti era educare i ragazzi a una concezione spiritualista ben riassunta nel dantesco «Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza». Non mancava l'abuso retorico e «nozionista» dello spiritualismo in verisone scolastica che lo riduceva a manierismo e astrazione.
Siena definisce il filone spiritualista come pensiero differente o pensiero forte, in opposizione al predominante pensiero debole, conformista e nichilista. Lo spiritualismo politico è per lui permeato da un realismo metafisico e cristiano. La domanda che resta dopo la lettura del libro di Siena è se questo così ampio spiritualismo sia solo un reperto del passato, una traccia storica, affettiva e culturale di un pensiero ormai tramontato, legato ad un tempo ormai improponibile ed esaurito nella gran fiammata del novecento. O se invece non sia da consegnare a una passione antiquaria e nostalgica, ma possa essere ripensato oggi e riproposto domani, con nuovi percorsi e nuove linee di pensiero, nuovi autori e nuovi linguaggi. E la domanda si complica se si vuol dare una connotazione o una ricaduta politica a questa linea di pensiero che appare così inagibile prima che inattuale. Il dubbio finale è se si possa parlare oggi di spiritualismo, di visione spirituale della vita. Io credo di sì nonostante tutto, e il naufragio dei pensieri «corretti» e dei canoni ideologici che lo affossarono ne è ulteriore conferma. Anzi, si può arrivare a dire che una visione della vita o ha una sua matrice spirituale o visione non è. Ma l'impresa va tentata; nella peggiore delle ipotesi gioverà almeno allo spirito di chi la tenta, nella migliore lascerà qualche traccia in altre anime e produrrà qualche effetto nel pensiero e nella vita di una civiltà. E, comunque, se l'impresa è ardua e temeraria, è una ragione in più per tentarla. Il risveglio dello spirito nell'epoca degli automi.

venerdì 7 giugno 2013

L' "UCRONIA" , CONDIZIONALE DELLA STORIA (DALL'ULTIMO MUSSOLINI AL DIBATTITO SUL PRESIDENZIALISMO), di ENZO NATTA

Presidenzialismi

L’ "UCRONIA", CONDIZIONALE DELLA STORIA
Dibattiti e periodi ipotetici del terzo tipo
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Presidenzialismo, semipresidenzialismo, cancellierato, elezione diretta del capo dello Stato e chi più ne ha più ne metta. Il dibattito sulle  riforme istituzionali si è riacutizzato nelle discussioni sulla figura di un premier allineato con le altre democrazie occidentali e che possa disporre del decreto legge senza essere sottoposto al beneplacito del presidente della Repubblica.
L'inevitabile “querelle” che ne è conseguita ha spostato l'ago della bussola anche sul piano dell'indagine storiografica con studi e interventi che hanno esaminato questo aspetto focalizzando l'attenzione sulla Repubblica di Salò. Il teorema dell'ucronia ha facilitato il gioco. Che cos'è l'ucronia? E' la scienza che riscrive la storia usando il condizionale, procedendo a furia di se, ricostruendo le vicende stpriche a base di ipotesi, formulando una storia virtuale e controfattuale, che nel 1876 il filosofo francese Charles Renouvier cercava di contrapporre allo storicismo hegeliano secondo il quale il tracciato della storia è uno solo e non si possono opporgliene altri. Insomma, una serie di varianti tipo quelle adottate da Philip K. Dick inThe Man of the  High Castle, in cui si immagina che le forze dell'Asse avessero vinto la guerra.
Su questo terreno si sono mossi anche giuristi e costituzionalisti partendo dal presupposto suggerito da Marc Bloch: “La storia è una scienza in divenire ed è per questo che è viva. Il suo oggetto fondamentale è il cambiamento”. Tra questi esperti in materia figura Primo Siena con La perestroika dell'ultimo Mussolini (Solfanelli. Chieti, 2022. Pagg. 284. € 19,00), che, come indicato nel sottotitolo “Dalla dittatura cesariana alla democrazia organica”, cerca di risolvere la scomoda e difficile equazione fascismo-democrazia attraverso i cambiamenti di rotta che svariati modelli di impostazione costituzionale impressero alla Repubblica Sociale Italiana. Una “provocazione” soltanto apparente, che si ammorbidisce e si spegne quasi subito quando si chiarisce il concetto dell'aggettivo “organico”, equivalente a “di totale partecipazione”, in altre parole riferentesi a un corporativismo ispirato alla dottrina sociale cristiana e alla Rerum novarum di Leone XIII, tale da coinvolgere pienamente ogni strato sociale e ogni categoria lavorativa nella guida e nel funzionamento dello Stato.
A sostegno e rinforzo della sua tesi Primo Siena dà voce ai fatti pubblicando in appendice il progetto di costituzione della Rsi di Carlo Alberto Biggini, a garanzia della cui validità l'autore chiama immediatamente a deporre un testimone non sospetto, ovvero un progetto di parte avversa stilato nel 1942 da Duccio Galimberti e da Antonino Repaci in previsione di un Ordinamento Confederale Europeo. Questo documento, sorprendente per l'identità di visuale con quello di Biggini, fu redatto per conto del Partito d'azione e del gruppo “Giustizia e libertà” e colpisce per il disegno di uno Stato corporativo dove il potere decisionale appartiene esclusivamente alle forze del lavoro. Altre “curiosità”, e affinità, riguardano la proibizione dello sciopero come arma di lotta, l'istituzione di una magistratura del lavoro (art. 168), la socializzazione delle imprese (art. 166) e l'abolizione dei partiti (art. 56). Norma, quest'ultima, che avrebbe incontrato la piena approvazione di qualche Masaniello di turno oggi presente sulla scena nazionale.
Il progetto di Biggini prevede una repubblica presidenziale dove la democrazia è un metodo e non un obiettivo, dove il parlamento è un organo di rappresentanza popolare eletto a suffragio universale e dove potrà finalmente realizzarsi quell' “umanesimo del lavoro” profetizzato da Giovanni Gentile. Lo stesso che indicava i comunisti come “corporativisti impazienti”.
I progetti costituzionali della Rsi non si limitarono comunque al testo di Carlo Alberto Biggini (in cui si rivive lo spirito mazziniano della Repubblica Romana), ma comprende anche quelli di Vittorio Rolandi Ricci (il Socrate della Rsi secondo Ermanno Amicucci), imperniato su un semipresidenzialismo con controllo parlamentare, vera repubblica degli ottimati (sempre secondo Amicucci), e di Bruno Spampanato, che stilò un “appunto per il Duce” nel quale si elencavano i requisiti basilari per la futura Grande Assemblea Costituente, fra i quali l'abolizione delle nomine dall'alto, le votazioni a scrutinio segreto e l'esclusione di rappresentanza delle istituzioni padronali. Via libera, invece, ai partiti politici.
Dall'esame comparato di questi testi, nonché dai dibattiti che li precedettero e li accompagnarono si entra a pieno titolo nella “glasnost” (trasparenza) e nella “perestroika” (riforma) dell'ultimo Mussolini, ovvero in quel tentativo (molto tardivo peraltro) di rivedere l'assetto dello Stato e di avviarne la ristrutturazione. Primo Siena individua e sottolinea con cura e dovizia di argomentazione le fasi del processo che portò Mussolini dal cesarismo a un legato politico volto a una democrazia organica maturata attraverso una severa revisione critica del Ventennio, in cui non finirono mai di scontrarsi giacobini, libertari e tradizionalisti in camicia nera. Nella Rsi le tante anime del fascismo tornarono a riproporsi e a confrontarsi con maggior veemenza fino a confermare in pieno, e proprio in questa vivace contrapposizione, il suo carattere movimentista.
Libro di notevole impegno, La perestroika dell'ultimo Mussolini pone a  più riprese l'accento sulla ventata di revisione/innovazione che soffiò sulla Rsi, brevemente e intensamente vissuta in una ricerca di identità capace di esprimere una palingenesi  autenticamente rigeneratrice. Questo aspetto è il lato più stimolante del volume, esempio di saggistica “politicamente corretta”, profondità di indagine e contributo a una ricerca storica che faticosamente comincia a staccarsi dalla passione di parte per pensare e operare fuori dal pregiudizio.