L’esercizio dell’autoanalisi, sia
personale che comunitaria, è uno strumento utile, purché sia finalizzata a
propiziare la fuoriuscita da un periodo di crisi o di disagio. La “destra”
italiana (o ciò che ne resta, o che sorgerà dalle sue ceneri), allo stato dei
fatti, ne avrebbe davvero bisogno. Uno stimolo a che ciò avvenga, può essere rintracciato
nella recente pubblicazione, per i tipi di Solfanelli, di un volume scritto a
due mani da Ivan Buttignon e Mattia Zenoni. Si tratta di M.S.I. e terrorismo nero tra verità e montature (per ordini: edizionisolfanelli@yahoo.it
335-6499393, euro 14,00). Il testo è una ricerca sulla storia del M.S.I., dalla
nascita al suo dissolversi in AN, affrontata secondo diverse sfaccettature:
ideologica, correntizia, e financo attenta ai dati caratteriali ed emotivi dei
suoi protagonisti.
Gli autori utilizzano tanto la lettura
obiettiva dei documenti (tra essi vanno menzionate le interviste inedite di
personaggi quali Stefano delle Chiaie e dei fondatori di Democrazia Nazionale on. Renzo de’Vidovich e Giovanni Guarini),
così come la conoscenza in qualche modo diretta dell’ambiente delle destra
italiana, visto che Buttignon collabora con riviste d’area e Zenoni, nonostante
la giovane età, è stato consigliere comunale della Lega in un comune del Nord.
La ricerca storiografica, in queste pagine, non è mai soffocata dal primato del
dato obiettivo, ma animata e sostenuta da un rapporto empatico con l’oggetto
indagato. Il che, dal nostro punto di vista non è un limite, ma un pregio del
volume. Tale atteggiamento esegetico è indotto dall’urgenza che gli autori
avvertano e trasmettono al lettore accorto, di dover fornire risposte ai
quesiti ancora aperti in merito agli “anni di piombo” e al ruolo giocato in essi
dalla destra partitica. Fare chiarezza su personaggi del M.S.I., nell’ambito
ora ricordato, può infatti rivelarsi utile a compiere oggi scelte accorte e
politicamente proficue, in una situazione altrettanto drammatica ma certamente
altra rispetto a quella di allora.
Per conseguire l’obiettivo, gli autori,
nelle due parti che costituiscono il libro,
Analisi delle origini e delle tre “macrocomponenti” e Le altre correnti missine, ripercorrono gli albori della storia del
Movimento Sociale, rilevandone un’anima contraddittoria ed ambigua. Infatti, mentre
la componente della sinistra nazionale, in certi momenti interna, in altri
esterna al partito, rivendicava il lascito socializzatore e repubblichino del
fascismo, e con esso la sua vocazione rivoluzionaria, la destra interna, nelle
sue diverse opzioni, teorizzava e praticava l’inserimento parlamentare. Con
Michelini alla Segreteria nazionale, tale tendenza avrebbe agito per il
costituirsi in Italia di una “Grande Destra” conservatrice, capace di
condizionare in senso nazionale la DC. In tale
contesto, viene rilevato il camaleontismo almirantiano il quale, di volta in
volta, nelle tornate congressuali, si presentava come leader della corrente di sinistra per poi stringere accordi
“centristi” con la componente moderata.
In quest’ottica, la riconquista
della Segreteria da parte di Almirante sul finire degli anni Sessanta, portò a rilanciare il progetto della “Destra
Nazionale”, fondandolo, da un lato, sul ritorno nel M.S.I. di una parte degli
eretici “spiritualisti” di Ordine Nuovo, la componente che faceva capo a Pino
Rauti, e dall’altro stringendo un’alleanza politico-elettorale con i
monarchici. La nuova situazione non mutò l’atteggiamento generale, tenuto dai
vertici del partito fin dal 1946, nei confronti dell’estremismo: da un lato di
fronte ad atti violenti e/o episodi terroristici, prendere le distanze da essi
(esemplare, in questo senso, è il caso della morte dell’agente Marino nel
“giovedì nero” di Milano), per poi
continuare a coltivare la cultura anti-sistema nel mondo giovanile. Il che
rappresenta, agli occhi dei due studiosi, una pericolosa contraddizione mai
risolta.
In apposito paragrafo si affronta
l’analisi della corrente spiritualista che si richiamava al pensiero di Evola,
dalla vulgata giornalistica anni
Settanta, ritenuto ispiratore del terrorismo nero. In queste pagine si ricorda
l’assoluzione piena del pensatore da una accusa del genere, nei primi anni
Cinquanta, dopo gli attentati dei FAR, che gli costò il carcere per sei mesi. Chi
si sia davvero confrontato con le opere di Evola, ben sa che in esse non vi è
il benché minimo invito alla violenza. Come ha esemplarmente mostrato G. de
Turris nel suo Elogio e difesa di J.
Evola (Mediterranee,1998) se qualcuno ha pensato di agire attraverso la
violenza in nome della dottrina evoliana, è stato evidentemente un pessimo
discepolo. Ad Evola non possono attribuirsi responsabilità di sorta in tema di
terrorismo.
Quali, quindi, le conclusioni in merito ai rapporti tra terrorismo e
M.S.I.? Gli autori sostengono che gli scontri di piazza cui, per decenni,
parteciparono anche i giovani del partito, per difendere la loro presenza
politica e, a volte, la loro sopravvivenza fisica (aggiungo io), fecero
ritenere a qualcuno che lo Stato fosse debole e potesse essere colpito: “…con
la complicità di qualche camerata del M.S.I.” (p. 182). Le risultanze
processuali relative alla strage di Peteano, si dice nell’ultimo capitolo,
misero in luce che i coinvolti nella vicenda erano organici al Movimento Sociale
e che lo stesso Almirante avrebbe inviato in Spagna all’autore della strage
circa 35.000 dollari statunitensi per far operare Cicuttini (il telefonista del
gruppo) alle corde vocali ed eludere, così, la sua identificazione. Buttignon
precisa: “…faccio fatica a immaginare uno scenario del genere” (p. 179), e noi
condividiamo il suo scetticismo. Non viene sottaciuto neppure il coinvolgimento
di Rauti nella strage di Piazza Fontana e in altri episodi terroristici del
periodo, accuse dalle quali, come si sa, in seguito fu prosciolto.
Oggi è possibile trarre un bilancio storico-politico della “strategia
della tensione” e degli “anni di piombo”. Gli unici sconfitti, oltre
naturalmente alle moltissime vittime innocenti, furono coloro che ritenevano di
combattere il sistema, da destra o da sinistra. I vincitori furono i “poteri
forti”, i loro rappresentanti, che di quei drammi si servirono per consolidare,
sul sangue di molti, la loro egemonia. E’ bene, quindi, come fa il libro
presentato, indagare anche in casa propria, individuare eventuali
responsabilità, per poter tornare ad agire politicamente, ma a condizione che
si tenga conto del clima in cui si trovò a vivere chi militava a “destra”e dei
molti che finirono ingiustamente in carcere per le montature giudiziarie ordite
contro di loro, e tardivamente assolti da accuse infamanti.
Giovanni Sessa