sabato 10 marzo 2012

Veloce recensione al libro "La perestroika dell'ultimo Mussolini"

Una frettolosa e fugace lettura al recente libro di Primo Siena, la Perestroika di Mussolini. Ed. Solfanelli 2012, avendomi fatto percepire qualche nota stonata all’argomento trattato, mi ha sollecitato a scrivere questo frettoloso commento.
Non parlo della ricostruzione storica eseguita dall’autore, il quale rievoca e ricostruisce il passaggio dalla dittatura (cesarismo) alla Rsi quale tentativo mussoliniano di arrivare ad una “democrazia organica ed olistica di radici greco romane”, che mi sembra ineccepibile anche se non esaustiva, ma di come questi, nella sua esposizione, volontariamente o involontariamente che sia, finisce poi per mettere positivamente in relazione gli intenti e il pensiero dell’ultimo Mussolini con quello che, nel dopoguerra e su quel solco, avrebbe dovuto essere il Msi ovvero il partito neofascista.
In ogni caso essendo stata, come accennato, la mia lettura del libro alquanto affrettata, il giudizio resta sospeso e potrebbe essere integrato o corretto in un secondo momento.
Di conseguenza questa non deve essere intesa come una vera e propria recensione, ma più che altro una semplice nota a riguardo di una presunta continuità degli intenti del Duce, per quello che sarebbe stato il dopoguerra.
In sostanza, il testo del Siena, forse non sarà stata sua intenzione, ma dà l’impressione di una implicita giustificazione, non solo storica, ma anche politica, del ruolo del MSI un partito la cui nascita, seguendo il tema del libro, potrebbe considerarsi conforme agli intenti politici dell’ultimo Mussolini, soprattutto quelli con i quali, il 24 marzo 1945, nel suo “soliloquio” riportato dal giornalista Ivanoe Fossati ed evidenziato dall’autore, invitò i fascisti, considerando assolutamente persa la guerra, ad essere, per il dopoguerra, ligi alle leggi che il popolo vorrà darsi e cittadini esemplari, onde non intralciare la difficile opera di ricostruzione del paese, in pratica di mettere “la Nazione al di sopra della Fazione”.
Un ruolo quindi non eversivo questo che, lascia indirettamente capire l’autore, il Msi avrebbe interpretato anche con il suo “non rinnegare e non restaurare” (ci sarebbe però anche da dire che, in quell’intervista, Mussolini così si espresse, ma in via transitoria, ovvero per non creare ulteriori problemi e danni nell’opera di una difficile rinascita nazionale).
Ora, che Mussolini con la Rsi avesse definitivamente superato il ventennio, il partito unico, le cariche dall’alto, il cesarismo, ecc., è verissimo come può essere vero che, realista com’era, abbia indicato, per quelli che sarebbero stati i comportamenti dei reduci del fascismo nel primo dopoguerra, un ruolo transitoriamente non rivoluzionario, ma partecipativo alla ricostruzione nazionale, ma al contempo è altrettanto vero che, in più occasioni, egli espresse soprattutto e con estrema decisione, l’intento di salvaguardare il patrimonio delle conquiste sociali della RSI.
I tentativi di Mussolini, seppur falliti, di un trapasso indolore dei poteri, fatto in modo che i socialisti, forse anche i repubblicani e gli azionisti, ereditassero l’istituto repubblicano le recenti Leggi sulla socializzazione, sono inequivocabili ed evidenziano ancor più la sua volontà di rinnovamento. Ma stranamente l’autore vi fa pochi e fugaci accenni.
Anzi, egli sottolinea invece quello che avrebbe ricordato Pino Romualdi, nel suo libro “Fascismo Repubblicano”, circa un colloquio che questi ebbe con Mussolini il 21 aprile 1945 nel momento in cui gli Alleati sfondarono il fronte e stavano per dilagare nella valle Padana.
Personalmente non ci fidiamo affatto dei ricordi postumi di Romualdi, un personaggio la cui posizione nella resa di Como dei comandi fascisti del 27 aprile 1945, a nostro avviso, deve storicamente ancora essere chiarita, ma ancor meno ci fidiamo in questo caso, visto che, tali ricordi, così come riportati sembrano proprio calibrati per legittimare quell’anticomunismo missista finalizzato a giustificare la nascita e l’operato cinquantennale di questo partito di cui Romualdi fu, non solo tra i fondatori, ma anche uno dei massimi dirigenti. A sentire Romualdi, Mussolini gli avrebbe detto: “se dovessimo crollare è necessario che i superstiti, quelli che in questo nostro fascismo hanno creduto, conservino il meglio delle nostre idee. Sono più che mai convinto che il liberismo classico abbia fatto il suo tempo, ma bisogna aiutare il paese a non cadere nelle braccia del comunismo”.
Noi non possiamo sapere se queste siano state le vere parole di Mussolini, o comunque in che senso egli le espresse, ma riportate da un alto esponente missista potrebbero anche lasciare intendere che se anche è pur vero che il liberismo è anacronistico, dovendo preliminarmente contrastare il comunismo, potrebbe anche essere il male minore.
In ogni caso non poteva essere in questo senso il vero intendimento di Mussolini, perchè egli accarezzava un altra, sia pure problematica e in definitiva impercorribile strada: quella di un lascito di tutte le conquiste sociali e Istituzionali della RSI ai socialisti.
Un percorso questo, attraverso un ponte verso le sinistre, che il ricercatore storico Franco Morini, il 3 marzo scorso, proprio su queste pagine ha ricostruito magistralmente.
In quel tragico momento, infatti, Mussolini voleva mettere gli Alleati di fronte al fatto compiuto, come scrisse Ermanno Amicucci, già direttore del Corriere della Sera, nel suo “I 600 giorni di Mussolini”, Ed. Faro Roma 1948: “Mussolini voleva che gli anglo americani e i monarchici trovassero il nord Italia socializzato, avviato a mete sociali molto spinte; voleva che gli operai decidessero nei confronti dei nuovi occupanti e degli antifascisti, le conquiste sociali raggiunte con la RSI”.
Era proprio questa la vera e ultima eredità del Duce, come da lui stesso attestato nella lettera che indirizzò, tramite Carlo Silvestri, al Psiup la sera del 22 aprile 1945 (guarda caso proprio il giorno successivo al colloquio riportato da Romualdi).
In essa vi si dice che il passaggio formale dei poteri doveva attuarsi dalla RSI ai socialisti e non già ai borghesi e alle forze reazionarie. In via di principio, addirittura, l'offerta avrebbe voluto estenderla anche agli stessi comunisti, ma rendendosi conto, come egli steso riferì al socialista Carlo Silvestri, che essi l’avrebbero rifiutata dati i loro legami internazionali che li subordinavano a Mosca e di riflesso agli inglesi, vi soprassedeva.
Mussolini tuttavia si augurava che in un prossimo futuro anche gli stessi comunisti potessero riconoscere la validità delle riforme sociali rivoluzionarie della RSI.
Dirà in quei giorni Mussolini al socialista Carlo Silvestri:
“Quanto maggiore cammino si sarebbe potuto fare in quest’anno se un gruppo di socialisti seri e responsabili mi avessero dato la loro collaborazione?
No, mai e poi mai. Anche se dipendesse dal nostro apporto dare a Mussolini la possibilità di realizzare il programma (…) del socialismo. No, mai e poi mai? Perché? Perché è Mussolini.
Vi dico che il più grande dolore che potrei provare sarebbe quello di rivedere nel territorio della Repubblica sociale i carabinieri, la monarchia e la Confindustria.
Sarebbe l’estrema delle mie umiliazioni. Dovrei considerare definitivamente chiuso il mio ciclo, finito”.
E’ in ogni caso importante considerare quanto accadde la sera del 22 aprile 1945 quando il Duce ricevette Carlo Silvestri. In quella occasione, come accennato, egli formalizzò una serie di appunti che consegnò al Silvestri pregandolo di inoltrarli alle forze moderate e socialiste della Resistenza:
“Compagni socialisti. Benito Mussolini mi ha chiamato e mi ha dettato questa dichiarazione che mi ha autorizzato a ripetervi. Poiché la successione è aperta in conseguenza all’invasione anglo americana, Mussolini desidera consegnare la Repubblica Sociale Italiana ai repubblicani e non ai monarchici, la socializzazione e tutto il resto ai socialisti e non ai borghesi. Della sua persona non fa questione.
Come contropartita chiede che l’esodo dei fascisti possa svolgersi tranquillamente. Nel proporre questa trasmissione dei poteri, egli si rivolge al partito Socialista, ma sarebbe lieto se l’idea fosse considerata ed accettata anche dal partito d’Azione nel quale, del resto, prevalgono le correnti socialiste.
...A quanto sopra sono autorizzato ad aggiungere che come contropartita Mussolini chiede:
a) garanzia per l’incolumità dei fascisti e dei fascisti isolati che resteranno nei luoghi di loro abituale domicilio con l’obbligo della consegna delle armi nei termini stabiliti;
b) indisturbato esodo delle formazioni militari fasciste, così come di quelle germaniche, nell’intento di evitare conflitti e disordine tra italiani e distruzione di impianti da parte dei tedeschi e nuove rovine e lutti nelle città e nelle campagne”.
Facciamo ora un salto avanti e veniamo al Msi. L’autore rileva in questo partito, tre anime: quella di Destra impersonata da Michelini e con diverse sfumature da Romualdi, De Marsinich, ecc., quindi quella sociale, impersonata da Almirante, ed infine una componente minoritaria che si riferiva a quei giovani che si rifacevano a Evola o Gentile, ecc.
Tutto giusto, anche se noi oggi sappiamo bene che bisogna fare un doveroso distinguo tra la base e i dirigenti che veramente contavano nel Msi, dirigenti che, sostanzialmente, erano tutti attestati su posizioni di destra, in quanto l’anima sociale di Almirante, in realtà, era strumentale ovvero costui la interpretava ad uso e consumo della base, per poi abbandonarla al momento opportuno, fino a quando, con la fine degli anni ’60, da Segretario del partito la liquidò definitivamente mettendo in piedi quel baraccone multicolore che fu il Msi Destra Nazionale.
Il giudizio positivo, seppur non espresso, ma implicito di Primo Siena sulla nascita e l’operato del Msi, che si riallaccerebbe alla transizione operata dalla dittatura ad una democrazia organica, se pur ha una sua ragione storica, non tiene però conto di importanti elementi politici, senza i quali si perpetua l’equivoco di considerare questo partito come erede del fascismo.
Ora è pur vero che l’intenzione di far nascere un partito, conforme al sistema democratico e che intendeva operare politicamente senza alcuna presunzione di voler “restaurare” un passato oramai chiuso definitivamente, è una scelta politicamente accettabile e possiamo anche metterla in linea con le intenzioni dell’ultimo Mussolini riassunte anche nel suo “soliloquio” riportato da Ivanoe Fossati.
Non è questa la critica che può essere elevata al Msi che nacque proprio con l’intento di consentire ai reduci del fascismo di tornare a recitare un ruolo politico nella nuova repubblica italiana (purtroppo però non c’era soltanto questo intento, perchè vi era anche il subdolo fine di trasbordare quei reduci su sponde di destra e filo occidentali).
Sono i contenuti politici e sociali assunti dalla dirigenza del Msi fin dalla nascita e ancor più accentuati con il passare del tempo, è la sua prassi politica cinquantennale, è il suo schieramento politico, interno e internazionale che, non solo, sono condannabili, ma risultano diametralmente opposti proprio agli intenti ultimi di Mussolini.
Cosa fa infatti il Msi, fin dalla nascita? Mette in piedi un partito, che oltre che imparentarsi con gli altri gruppi di destra come i residui della monarchia, il liberali, ecc., mano a mano che passano i mesi si sposta sempre più su posizioni di destra conservatrice e su posizioni filo atlantiche.
Tutto questo sostanziato e giustificato dalla sua collocazione a destra per la quale si infila in una politica di anticomunismo viscerale che funge da paravento per tutto il resto.
Non è qui il caso di accennare alla malafede, a quell’opera infame, seguita da alcuni esponenti di quel partito, sotto l’egida di conventicole massoniche, industriali, e con l’approvazione dell’Oss e del Vaticano, un opera atta a trasbordare a destra i reduci del fascismo repubblicano che di destra certamente non erano, ma occorre sottolineare come questa politica di destra conservatrice e sussidiaria allo schieramento pro Jalta nell’ambito americano, di fatto e di pensiero, rinnegava in toto proprio quell’ultimo Mussolini.
La politica missista di destra, infatti, era diametralmente opposta ad una politica finalizzata a grandi riforme sociali, come quelle già attuate nella RSI ed abrogate per volontà Alleata e degli industriali, essa costituiva una totale negazione del patrimonio sociale del fascismo, di quel fascismo che si diceva di “non voler rinnegare”. Al contempo il filo atlantismo, esteso in ogni ambito politico e sociale (come dimostra l’atteggiamento missista anche per le politiche energetiche del paese, per esempio petrolio e nucleare) e le relazioni da tenere verso i paesi del terzo mondo e del mediterraneo, è stato un tradimento, reiterato per cinquanta anni, degli interessi nazionali.
Sull’attitudine dell’anticomunismo viscerale, assunta dal Msi a prescindere, è meglio stendere un velo pietoso, perchè sappiamo benissimo che questa attitudine avrà in qualche modo gravi responsabilità nel clima di odio e di sangue, utile al sistema e alle strategie atlantiche, che si venne a creare durante gli anni di piombo.
Con questi presupposti il Msi non poteva che esercitare una politica da ruota di scorta della DC, fino a sfociare in Alleanza Nazionale e il suo aperto neo liberismo.
Del resto, a quanto sembra, lo stesso Romualdi, poco prima di morire, aveva liquidato anche quella parvenza di corporativismo, che era sempre stato sbandierato strumentalmente da parte del Msi, non ritenendolo più attuale ai tempi moderni.
Torna quindi, tanto più significativa la preveggenza di Mussolini, espressa nella precedentemente accennata intervista a Ivanoe Fossati, per cui disse esplicitamente: “i miei veri figli nasceranno dopo”.
E non si sbagliava affatto, visto che tutta la storia del Msi ci mostra che questo partito era più che altro conforme ad una parte minoritaria, seppur non indifferente (oltre un milione di anime) del nostro popolo: quella di destra, conservatrice, reazionaria, in genere cattolica e borghese, quella che, in definitiva, albergando nel Ventennio, aveva già portato il fascismo al 25 Luglio.
Un anima del nostro popolo individualista, pregna di ideali retorici e che, dal dopoguerra in avanti, assumendo sempre più atteggiamenti e contenuti mutuati dall’americanismo, era anche degenerata in un animo gretto e meschino, privo di quei sentimenti di mutualità, solidarietà e socialità che erano invece sempre stati alla base del fascismo.
Dunque, anche qui possiamo dire, parlando in termini storico politici, che il Msi ha legittimamente e, da par suo, giustamente, incarnato questa destra, non estranea, ma pur presente nella cultura del nostro paese. E fin qui potremmo non aver nulla da obiettare, ma quello che bisogna altrettanto dire e specificare e che tutto questo con il fascismo e con Mussolini, neppure con la sua “perestroika”, non c’entra nulla.

Maurizio Barozzi

http://fncrsi.altervista.org/Recensione_a_La_perestroika_dell_ultimo_Mussolini.htm



La NOTA di Giorgio Vitali

Il commento di Maurizio Barozzi è più che completo e condivisibile. Tuttavia, è importante precisare come in realtà si sono svolte le cose nell'ambito del reducismo repubblichino, altrimenti è molto difficile comprendere come ci sia stata una così forte (ed anche, se vogliamo, rapida) inversione di tendenza. Anche perchè era sentito da tutti che la Guerra della RSI è stata una guerra ANTIATLANTICA in tutto e per tutto (tant'è vero che è stata combattuta in nome di una posizione chiaramente eurasiatista, stante la nostra un'alleanza molto stretta con una Germania, impegnata a fondo, anche per una questione di spazi vitali, in uno scontro fondamentalmente eurasiatico).
Sicuramente uno degli elementi che maggiormente hanno agito in questo senso è stato l'"anticomunismo", e qui occorrerebbe indagare a fondo tanto su questo modo di sentire, quanto sul rifiuto del partito socialista, o meglio, degli pseudo socialisti del CLNAI, organismo assolutamente inattivo, ad accogliere l'eredità sociale della RSI. (Forse di mezzo c'era anche la paura di essere assassinati, stante quanto accaduto a Bruno Buozzi).
E qui ci sarebbe da indagare sul perchè dei tanti attentati organizzati dal PCI, e se per caso questi non fossero stati patrocinati proprio dagli Atlantici, per ingenerare un senso di anticomunismo viscerale nei fascisti superstiti. Su questo argomento a suo tempo, qualcuno della Democrazia Cristiana si era lasciato sfuggire alcune ammissioni. Ed il 18 aprile la conclusione fu la vittoria del Vaticano (anche CONTRO l'Inghilterra, che puntava ancora sul sistema del Partito d'Azione collegato con la monarchia). Sul grado di sprovvedutezza di molti giovani ex repubblichini, nella Roma di fine anni quaranta fa da testo il libercolo del noto scrittore Enrico De Boccard (ex Decima MAS) intitolato: "Il passo dei repubblichini", edito da "Le lettere".
Ma un altro punto va preso in considerazione. Nel MSI era presente anche il nutrito gruppo degli uomini della cosiddetta "sinistra", che era numeroso e ben determinato, anche dal punto di vista culturale. I nomi abbondano. Questi esponenti avevano anche i loro fogli, che non erano pochi ed uscivano regolarmente. E tuttavia costoro non sono mai riusciti a "sfondare", nè nelle regolari elezioni "interne" e tantomeno nelle elezioni "esterne". (Meno qualcuno, tipo Niccolai, che però viveva in un ambiente umano "consono", la Toscana).
E ciò valga anche come insegnamento della prassi politica. Infatti, noi pensiamo che sia stata proprio l'ampia libertà di diffusione delle tesi di questi esponenti a creare una mistificazione sostanziale. Infatti, leggendo quei periodici, di cui noi abbiamo ampia documentazione, gli aderenti al MSI erano indotti a credere che i temi dibattuti anche all'interno della direzione di quel partito fossero su quel tenore politico. In realtà era esattamente il contrario, ed alla fine, nella sostanza, s'imponeva sempre la posizione "destrista".
Un altro elemento infine è stato costituito dal modo di agire, ampiamente ambiguo, di certe figure, impropriamente "carismatiche" nei confronti delle forze politiche del tempo. Ci riferiamo soprattutto al Maresciallo Graziani, che nei suoi "contatti", probabilmente portati «a fin di bene» (c'era di mezzo anche la sopravvivenza di molte persone ridotte alla fame) aveva stabilito legami con chiunque. La questione è stata documentata finora da pochi testi, che comunque sono esaustivi, soprattutto per chi interpretare i fatti. Il primo libro, molto interessante, fu scritto da un prete che bazzicava nel Vaticano, tal Alighiero Tondi, poi diventato comunista. Titolo: "Vaticano e neofascismo", terza edizione 1952, 20° migliaio.
Ma soprattutto il recente "Rodolfo Graziani, fascista conteso - Il difficile rapporto con il MSI, gli sfuggenti contatti con il PCI, l'evoluzione del combattentismo nero. 1947-1962" del giovane storico Alfredo Villano, edito nel 2011 dal noto editore "Storia Ribelle" di Biella.
Sta di fatto che i contatti di Graziani, dato il ruolo e la funzione che ebbe in RSI, ebbero valenza politica significativa anche se costui non può essere annoverato fra i fascisti, non essendolo mai stato. Ed essendo stato scelto da Mussolini per il suo prestigio fra le truppe e il grado che gli permetteva di trattare coi tedeschi da una posizione di forza. E forse anche questo è stato un equivoco di fondo da tenere sempre presente.

Giorgio Vitali

http://fncrsi.altervista.org/Recensione_a_La_perestroika_dell_ultimo_Mussolini.htm

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